Donne che non si amano
Il masochismo morale femminile
Gli “uomini sbagliati”
Nella stanza di psicoterapia, un’ampia popolazione di donne lamenta un problema specifico: esse affermano di attrarre solo “uomini sbagliati”. Talvolta descrivono compagni e amanti problematici, sofferenti di qualche disturbo di natura affettiva, sociale o mentale, che si legano morbosamente a loro chiedendo comprensione. In questo caso la donna sembra pervasa da una sorta di fantasia salvifica: lei salverà l’uomo malato. Ma il più delle volte – ed è questo il caso più sorprendente – molte di queste pazienti si legano a uomini palesemente insensibili, manipolatori e strumentalizzanti, talvolta veri e propri criminali morali, dalle quali sono attratte e che dichiarano di amare.
Alcune donne, in principio, permangono in una lunga fase di idealizzazione, che impone loro un servizio d’amore esaltato da una spinta entusiastica, talvolta maniacale. Pian piano però i difetti dell’uomo cominciano a trasparire: distacco e denigrazione, sottili forme di disprezzo, maltrattamenti attivi, tradimenti seriali, manipolazione emotiva, sfruttamento, violenza.
A questo punto le “belle addormentate” si svegliano, sono turbate dalla scelta compiuta, vogliono sottrarsi al ricatto affettivo, ma non sanno come fare. Alcune si dibattono un po’, ma poi si arrendono alla propria debolezza e scendono di un gradino nel girone infernale. Si adattano a vivere rapporti senza senso, si sovraccaricano di umiliazione e di sofferenza, costrette come sono a rifornire i loro “uomini sbagliati” di adulazioni, servizi affettivi e materiali. Altre resistono, ma non sono abbastanza assertive nel rifiuto, sicché esitano, spesso entrano in conflitto, ma poi si pentono, hanno paura dell’abbandono, si avviliscono e restano prigioniere. Altre, infine, grazie all’odio accumulato, riescono a tagliare il legame in modo drastico, chiudono tutti i contatti, ma poi si tormentano con l’idea di aver fatto male, di aver perso l’occasione della vita che verrà colta da un’altra donna; oppure giungono alla conclusione di doversi rassegnare al loro destino ineluttabile: sono donne sbagliate, sfortunate, malate, perché attraggono solo uomini sbagliati lasciando quelli “giusti” alle altre. Non possono che accettare come un mistero questa tragica realtà.
Spesso, una volta rifiutato, l’uomo dimostra quale fosse il suo reale sentimento: talvolta manifesta arroganza, talaltra una completa indifferenza, spesso la vecchia compagna viene snobbata e denigrata e rapidamente sostituita da una nuova. In fondo, non era mai stato innamorato, e questa realtà risuona nella mente della donna come l’amara rivelazione di qualcosa che aveva sempre intuito.
Non poche volte però, appena è rifiutato, l’uomo diventa un “persecutore affettivo”, talvolta in modo subdolo e insistente; altre volte in modo aggressivo, violento, persecutorio. Se è un uomo sofferente, la sua azione dissuasiva si esprime attraverso la manifestazione di sintomi, la caduta in depressione e la minaccia del suicidio; se invece è un narcisista l’azione dissuasiva si esprime attraverso il discredito, la calunnia, la mistificazione, le seduzioni, le menzogne strumentali, la persecuzione verbale e fisica.
A questo punto, in preda a mille dubbi, la donna si chiede se non sia stata lei stessa a far precipitare la situazione, e se ne fa una colpa. In questo caso, può cedere alle lusinghe e riavviare il rapporto. Vi si rassegna pensando di non meritare altro destino che quello.
In questa categoria femminile possiamo trovare tanto le dipendenti affettive, quanto le masochiste morali. La differenza fra l’uno e l’altro tipo sta nel fatto che le dipendenti di solito idealizzano i loro partner e si addossano interamente la colpa del mancato rapporto; le masochiste, ossia le donne che non si amano, vedono con chiarezza i deficit dell’uomo, ma una sorta di attrazione fatale le porta a bruciarsi le ali, come falene affascinate dalla luce di un falò.
Da cosa dipende questa strana configurazione affettiva, perché queste donne ripetono sempre lo stesso errore e persistono nel farsi del male?
Masochismo morale e autosvalutazione
La donna che non si ama ha una bassa autostima e si considera una persona di poco valore. Non sempre la dipendente affettiva è cosciente di darsi poco valore; la masochista morale invece sì. La bassa autostima cosciente correlata a comportamenti che portano un danno alla propria identità affettiva, sociale e talvolta fisica, e quindi alla propria vita, la definiamo masochismo morale.
Il masochismo morale è un’attitudine della persona non solo a giudicarsi male, ma a anche a farsi danno su diversi piani. Questo tipo di masochismo, psicologico e non necessariamente sessuale, dipende da larvati sentimenti di indegnità e di colpa presenti da sempre, come un batterio dormiente, nel cuore dell’identità. Spesso la masochista morale ha avuto genitori che non l’hanno valorizzata o l’hanno del tutto ignorata. E lei, sin da piccola, piuttosto che sviluppare un carattere rabbioso, oppositivo, protestatario, ha “scelto” la via della soggezione e ha interiorizzato il rifiuto genitoriale nei termini di un’oggettiva indegnità. Si è detta: «Se non mi amano è perché non lo merito».
Qualche volta da ragazza ha compiuto azioni oppositive, oppure ha attraversato una fase di conflitto. Ma poi è regredita alla sua condizione originaria di “serva devota” a causa di insopportabili sentimenti di colpa. Di solito è una persona altamente sensibile che non sopporta l’idea di tradire i genitori con la ribellione e di rivendicare amore e valore al di fuori della famiglia. Perciò si giudica male e si sente indegna.
Dal momento di questa valutazione, la sola idea di meritare amore e felicità diviene una sorta di trasgressione. Divenuta donna, non può esigere amore, perché il solo farlo significa far crollare la costruzione con la quale ha salvato i genitori dal proprio risentimento. Ciò che ha evitato nel corso di tutta la vita è raggiungere una consapevolezza di questo tipo: «Se ammetto di meritare amore, devo altresì ammettere che loro sono stati ingiusti. Quindi non potrei più salvarli dal mio giudizio di condanna!» Il prezzo pagato per conservare l’immagine buona delle persone importanti della vita è stato di negativizzare la propria personale immagine: «Io non valevo abbastanza per essere amata!».
Si tratta di un fenomeno di “dissonanza cognitiva”: ogni volta che appare alla coscienza una prova della negatività dei genitori o di altri familiari importanti o dell’amica del cuore o del primo fidanzato, questa donna rimuove prontamente il pensiero e torna e percepire il mondo come fondamentalmente buono.
La psicoterapia
La scelta del partner sbagliato è un modo per ripetere questa memoria negativa, secondo la quale è lei che dovrebbe sottomettersi ai difetti dell’altro. Finché si sottomette, si sente buona. Se chiede amore e felicità, di fatto disobbedisce, quindi è cattiva.
Poiché si tratta di solito di memorie profonde, radicate nella personalità, è difficile che la masochista morale riesca a cambiarle coi propri mezzi personali, e questo nonostante la sua coscienza si ribelli di continuo. L’obbligo morale inconscio è tale da dare scacco alle più normali esigenze di dignità. Dunque, questo tipo di donna può guarire solo grazie ad un intervento professionale ottimale, specialistico.
Poiché il più delle volte, oltre ad essere una persona sensibile ha anche una spiccata intelligenza (nel mio vocabolario: è una “iperfunzionale”), spesso acquisisce meriti in campi non sentimentali, per esempio nello studio, sul lavoro, nel perseguimento di una passione o nella gestione di un contesto sociale. Questi meriti possono cominciare a scalfire il nocciolo duro dell’autodenigrazione. Ma – per via della dissonanza cognitiva e della conseguente dissociazione – la coscienza rimuove questi dati, oppure li fa percepire come normali, non particolarmente meritevoli; quindi alla fine essi non solo non modificano l’equilibrio psicologico di fondo, ma vengono perlopiù addebitati al caso, alla fortuna o a un errore di valutazione da parte degli altri.
Il lavoro di psicoterapia è invece programmato e metodico. Lo psicoterapeuta dovrà fare con la paziente masochista alcuni passi fondamentali. Innanzitutto dovrà rendere evidente che esiste una vita emotiva inconscia, con le sue convinzioni potenti e radicate, e che questa vita emotiva inconscia ha dominato la razionalità e il buon senso coscienti.
Poi, in secondo luogo, dovrà mettere la paziente nella condizione di risalire alle prime interazioni affettive coi genitori perché ella si renda conto di come l’angoscia di perdita e il senso di colpa le abbiano inibito la richiesta di amore. Smontare il senso di colpa di fronte alla propria domanda di dignità sarà l’atto terapeutico centrale. Ciò vale sia nella rivisitazione del passato, nel quale si riconosceranno i modi nei quali la dignità le è stata sottratta, sia nella valutazione del presente, nel quale ogni rapporto sentimentale si declina attraverso una subita umiliazione.
Allo stesso modo sarà di fondamentale importanza la critica radicale all’idea che la vita sia sacrificio e l’amore nient’altro che un tormento da sopportare con rassegnazione. Sarà quindi necessario valutare la possibilità che la paziente sia affetta da una vera e propria fobia della felicità, funzionale a tenerla lontana dalla rivendicazione di dignità. La capacità di rifiutare ogni rapporto che non sia egosintonico, cioè gradito e ben integrato nell’Io, ne verrà di conseguenza.
Accanto alla psicoterapia, che resta lo strumento elettivo, possono risultare efficaci anche i gruppi di autocoscienza e di gruppi di coscienza culturale femminista, nonché le relazioni amicali e sociali di affettuosa intimità.
Poiché nasciamo con un bisogno imprescindibile di amore, il processo terapeutico avrà un formidabile alleato nella natura profonda della stessa paziente, che in realtà non cessa mai di esigere un’attenzione finalizzata al recupero della dignità e della gioia.
Allo stesso modo sarà importante che il terapeuta sia un uomo empatico e sinceramente attratto dal carattere e dall’intelligenza femminili, oppure una donna matura e solidale e priva di ogni forma di competizione.
La personalità del terapeuta non è affatto scontata: non di rado il terapeuta maschio è vittima di pregiudizi paternalistici, che lo inducono a sminuire la sofferenza femminile o viceversa a sminuire le responsabilità collusive della donna. La terapeuta femmina può invece essere invidiosa e competitiva nei confronti della paziente, per una sua personale nevrosi, o professare valori patriarcali, secondo i quali la donna deve saper sopportare l’uomo oppure deve saper essere forte e indipendente più di un uomo, in entrambi i casi facendo sentire la paziente in colpa.
Il processo di guarigione di una masochista morale che riconquista la sua dignità è sempre, per il terapeuta, di grande soddisfazione. Accanto alla gioia di un processo terapeutico che va a buon fine, si ha la sensazione di aver adempiuto ad un compito etico. In questo millennio che si apre su uno scenario di gravi ingiustizie è infatti di vitale importanza che alla donna venga restituita – e lei sappia riprendersi – la dignità perduta. Innanzitutto per sanare la prima, grande ingiustizia di classe del genere umano: la sottomissione della donna; poi, per reintegrare il principio femminile della cura in un mondo valoriale gravemente squilibrato verso i valori della competizione, dell’oppressione, della guerra.
Libri dell’autore
Ghezzani N., Volersi male, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Ghezzani N., Quando l’amore è una schiavitù, FrancoAngeli, Milano, 2006.
Ghezzani N., L’amore impossibile, FrancoAngeli, Milano, 2015.
Ghezzani N., Relazioni crudeli, FrancoAngeli, Milano, 2019.
Libri consigliati
Welldon E. V. (1988), Madre, madonna, prostituta, Centro scientifico editore, Torino, 1995.