Dipendenza affettiva e mitomania romantica
La fantasia autoerotica
Esiste una categoria molto particolare di dipendenza affettiva che ho descritto nei miei libri sulle relazioni affettive e che ho chiamato “mitomania romantica”. Si tratta di un modo di essere nel quale la dipendenza è invisibile, perché relegata nel mondo interno. Per capirla in profondità, occorre affrontare innanzitutto il tema dell’autoerotismo psichico.
L’autoerotismo è un sistema psichico di interazione con se stessi, composto di pensieri e atti erotico-affettivi intimi, segreti, immuni dal confronto con la realtà. Esso può essere sia psicofisico e sfociare nella masturbazione, sia essenzialmente psichico, tale da non coinvolgere né gli organi genitali né la ricerca attiva dell’orgasmo, sicché lo si può praticare senza avvertire la necessità di masturbarsi. In tal caso, si configura come fantasia, ossia un atto mentale che si esaurisce nello spazio del mondo interno; una fantasia che può essere sia erotica, sia amorosa.
Volendo vivere l’esperienza amorosa, ma non potendo viverla nella realtà a causa dei conflitti psicologici che scatenerebbe, colui che dipende da fantasie romantiche riattiva la funzione fantastica autoerotica e si crea una realtà a parte, controllata fin nei minimi dettagli in tutto l’arco del suo nascere, crescere, durare e talvolta morire. In tal modo il fantasticatore si proietta un film personale, mettendosi al riparo sia dai traumi esterni (dipendenza, controdipendenza, vulnerabilità, umiliazioni, rifiuti, abbandoni, conflitti ecc.), sia dai traumi interni, causati dalla conoscenza lucida e dolorosa della totalità del proprio e dell’altrui mondo emotivo (con le paure, le rabbie, le compulsioni e depressioni, gli odii e le rivendicazioni che lo caratterizzano).
Dunque, così come esistono personalità incentrate sulla rivendicazione di attenzioni e di attività sessuali (che configurano una possibile dipendenza sessuale, talvolta mascherata dall’illusione romantica) e personalità che hanno al loro centro la rivendicazione di amore (che possono quindi sviluppare una dipendenza affettiva, anch’essa più o meno mascherata da amore), esistono anche personalità incentrate sulla necessità interna di attività fantastiche di tipo romantico. Queste attività invisibili e clandestine, talvolta confessate con candore in rapporti di confidenza, hanno la funzione di isolare il bisogno di relazione nel perimetro della mente, dove in apparenza è sotto controllo. Sono persone la cui vita reale, spesso irrigidita e contratta dall’inibizione affettiva e sessuale, necessita di difese dal senso di vuoto che le pervade. Le difese possono organizzarsi, appunto, intorno a un uso autoerotico della fantasia.
Al livello minimo, queste personalità esprimono i loro bisogni in infatuazioni passeggere, che come un fuoco fatuo illuminano per un breve tratto un arido o gelido paesaggio di morte. A questo livello, non di rado il partner immaginario è idealizzato al punto da apparire perfetto, tale da rendere impossibile il confronto con qualunque partner reale.
Da questo primo livello, si può passare ad un secondo. Al crescere della frustrazione dei bisogni amorosi e della correlata intensità dei bisogni fantastici compensativi, lo scenario muta fino a divenire pericoloso. Il mitomane si avventura allora nella creazione di storie amorose lunghe e complesse, vere e proprie narrazioni epico-erotiche a forte contenuto visionario, che possono durare anni e indurre intense sensazioni somatiche. A questo livello, il grado di estraniazione soggettiva e di scissione della personalità è elevato al punto che la fantasia occasionale si è trasformata in una organizzazione psichica parassitaria.
Gli strumenti
Diffusissima nel mondo femminile, la fantasia autoerotica romantica è presente anche nel mondo maschile, molto più di quanto i soggetti stessi riescano a focalizzare, prendere coscienza e ad ammettere.
Nella creazione fantastica, il mistificatore sentimentale realizza un complesso di immaginazione pura e di melodia cinetica, non scevro di realistica e appagante drammaticità, nel quale la passione amorosa va incontro ad alterne vicissitudini, passando dall’esaltazione estatica alla più cupa disperazione e viceversa (come avviene a Psiche nel racconto di Apollonio Rodio o nelle Metamorfosi di Apuleio). Spesso, la fantasticheria ha per oggetto una persona reale, ma altrettanto spesso ha per oggetto persone e situazioni inventate, che danno alla storia un incedere scopertamente infantile.
Un tipico strumento “tecnico” di appoggio è offerto dal cinema, che raccoglie drappelli di donne e uomini patiti di storie di fantasia; un altro è il romanzo, di solito dozzinale o, come si diceva un tempo, “d’appendice” o “rosa” (anche per la dipendenza da romanticismo, come per ogni dipendenza, la necessità d’uso transige sui contenuti); non di rado la poesia, sia letta che scritta.
Altri strumenti, più attuali, si collocano a metà strada fra il cinema e la letteratura: laddove un tempo c’erano i fotoromanzi, oggi ci sono i teleromanzi, lunghissimi serial nei quali il fantasticatore si immerge come si trattasse della sua stessa vita. In tempi recentissimi, la fantasticheria romantica invade sempre più Internet e le chat, dove è sistematico lo scontro di motivazioni fra donne che cercano occasioni per immaginose storie romantiche e uomini a caccia di puro sesso.
Il nucleo patologico
La mitomania romantica è dunque un fenomeno mentale posto a metà fra il conscio e l’inconscio. La fantasia in se stessa è conscia, ma inconsce ne sono le motivazioni. La motivazione più radicale e perciò inconscia non è la consolazione, come spesso pensano il soggetto stesso e i suoi curanti, ma piuttosto il bisogno di tenersi al riparo dall’interdipendenza degli affetti, fomentando un individualismo emotivo e fantastico che eviti i rischi del coinvolgimento nella realtà.
Mentre mostra una fittizia disponibilità all’amore, il fantasticatore solitario è di fatto ostile ad ogni legame intenso ed esclusivo per la paura di cedere alla fiducia, alla dipendenza e pertanto di soffrire. In tal modo egli oscilla di continuo fra dipendenza passiva e indipendenza compulsiva, sostenuta da una sotterranea fantasia di autosufficienza, senza mai trovare un vero punto di equilibrio e di contatto col partner.
Nella fantasticheria romantica si consuma, dunque, un delitto virtuale, in apparenza ben controllato nello spazio psicologico interno, un delitto caratterizzato dal desiderio di isolarsi e di non fare né subire danni di carattere affettivo. Se però approfondiamo il livello di analisi, ci rendiamo conto che dietro il velo del delitto virtuale si cela il desiderio di compiere il “delitto perfetto”: l’uccisione – l’inibizione radicale – del bisogno affettivo tramite la sua narrazione immaginaria.
Un delitto perfetto non è mai innocuo. Di fatto la narrazione immaginaria provoca effetti micidiali sulla vita reale: da un lato la scissione del soggetto stesso fra un mondo immaginario denso di fantasmi e una vita reale svuotata di materia e di emozioni significative; dall’altro un distacco dalla vita che impoverisce e derealizza sia il senso di identità che l’efficacia soggettive, nonché la qualità delle relazioni in atto.
La mitomania erotica è una forma di “dipendenza affettiva intrapsichica”, una dipendenza da un oggetto interno, e va presa molto sul serio: al di là dell’aspetto ingenuo, essa cela disturbi nell’area dell’autostima e dell’autonomia.
Il nucleo patogenetico è costituito da un bisogno di relazione represso e distorto dalle fobie e da un bisogno di opposizione e individuazione relegato nella vita interiore, dove può essere oggetto del solo giudizio delle istanze intrapsichiche. La sua funzione è dunque molteplice: innanzitutto serve a placare e rendere il più possibile inoffensivi sia i desideri che i nuclei fobici relativi ai rapporti reali; in secondo luogo, serve a eludere la colpevolizzazione nei confronti del partner e dei congiunti reali, i quali sono non solo oggetto di conflitti rimossi, ma anche “traditi” nella fantasia. A tale colpevolizzazione si associano inevitabili nuclei depressivi, che finiscono per incistarsi nella personalità.
Il conforto immaginario che la fantasia provoca evita il radicamento dell’Io sia nella propria memoria – che viene sostituita da una memoria protesica, artificiale – che nella realtà quotidiana, avvertita come povera e frustrante e quindi respinta. Sul lungo periodo i suoi effetti possono essere penosi: l’abbandono alla fantasia romantica porta sempre alla fuga dagli affetti reali, allo stesso tempo temuti e disprezzati, quindi a una degradazione dell’identità affettiva e sociale non diversa da quella che si riscontra in patologie riconosciute, come la tendenza compulsiva alla masturbazione, alla pornodipendenza, al tradimento seriale, alla “doppia vita”, alla promiscuità.
Tra la fantasia romantica – del tutto immaginaria o vissuta sul tramite di un dato reale – e l’amore reale c’è la differenza che c’è fra la festa e la rivoluzione. Nella festa popolare, come il Carnevale, il mondo viene rovesciato e si compiono momentanee trasgressioni delle regole del mondo, intese a dare un sollievo liberatorio. Ma, a festa avvenuta, il mondo non è cambiato; è più o meno rimasto lo stesso. Per contro, la rivoluzione comporta il desiderio di modificare attivamente il mondo secondo il proprio desiderio.
Nella rivoluzione le trasgressioni non sono la meta, come invece nella festa; sono solo un momento di passaggio, una possibile rottura necessaria a far cessare il sistema di valori e il mondo oggettivo preesistente.
Chi vive nella festa osa poco, mira a un rischio calcolato; chi vive nella rivoluzione non può altro che accettare per intero il rischio massimo, quello di perdere se stessi nell’atto in cui si cerca di rinnovare la realtà del mondo. Allo stesso modo, nella romanticheria si simula il rischio, il dolore e la passione, insidiati, per via della simulazione, da un pervasivo sentimento di futilità che alimenta la frustrazione. Per contro, nell’amore concreto, reale, si agisce con tremore ed esultanza, in funzione di un rischio supremo: il radicale cambiamento della vita.
Bibliografia dell’Autore
N. Ghezzani, La paura di amare, FrancoAngeli, Milano, 2012.
N. Ghezzani, L’amore impossibile, FrancoAngeli, Milano, 2015.
N. Ghezzani, Relazioni crudeli, FrancoAngeli, Milano, 2019.
Bibliografia consigliata
Steiner J., I rifugi della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1996.