Coppie sbagliate
Differenze di sensibilità fra uomini e donne
La paura femminile di prevaricare l’uomo
Come già accennato in altri articoli, fra le persone che si uniscono in coppie esistono differenze spiccate e sovente inconciliabili. Le differenze cui mi riferisco sono spesso di natura intrinseca (disposizioni genetiche e temperamentali “lavorate”, “modellate” nel corso della vicenda psicologica soggettiva), quindi poco o punto reversibili. Un proverbio dice che «chi nasce tondo non muore quadrato», verità antica che testimonia la rassegnazione, per alcuni aspetti rasserenante, a prendere atto che la nascita e la prima infanzia ci imprimono un “marchio di fabbrica” da cui non possiamo affrancarci e che come un’ombra personale o familiare ci accompagnerà per tutta la vita.
La vecchia tradizione di coppia impediva la percezione di queste differenze fornendo la donna di un illimitato spirito di sacrificio. Oggi però è diverso: con gli studi superiori, il diritto al voto e al lavoro e il crescente valore che la psicologia moderna dà alla capacità affettiva e all’empatia, la donna ha sviluppato un sentimento più acuto della propria dignità non solo umana ma anche intellettuale. Sempre più spesso un numero crescente di ragazze e giovani donne scoprono di avere una sensibilità diversa da quella maschile media e capiscono che ciò impone loro di essere selettive nella scelta di un partner. Lo hanno sempre intuito, oggi come ieri; ma solo oggi questa intuizione è diventata un concetto cui è difficile sottrarsi.
Molto spesso sono in coppia con un partner inadeguato perché alessitimico in materia di sentimenti; oppure, più spesso, perché ignorante, mediocre e rudimentale. Non di rado si tratta di uomini con scarsa istruzione e comunque meno intelligenti di loro. Le donne coinvolte con questi uomini intuiscono che nelle loro relazioni affettive c’è qualcosa di profondamente sbagliato, eppure non riescono a sottrarvisi. Non vi riescono pre due motivi. Il primo è che non sanno sottrarsi all’obbligo morale di avere un uomo, di stare in coppia, sempre e comunque; obbligo che deriva dall’idea che una donna assume un valore solo in quanto è desiderata da un uomo e può realizzarsi solo in quanto parte di una coppia. Il secondo motivo è che non si rassegnano alla propria diversità rispetto all’uomo medio e hanno paura di fare uso di questa loro inquietante facoltà intellettiva e selettiva, hanno paura di fare ciò che l’uomo ha sempre fatto con loro: selezionare e scegliere.
In sintesi, hanno paura che, prendendo coscienza del loro valore intrinseco e rifiutando l’uomo sbagliato e rivendicando un compagno migliore, siano tentate di subordinare l’uomo a sé e, se scoperte, di essere condannate a una vita solitaria. Hanno il terrore che, guardandosi nello specchio, possano vedere il volto di una strega odiosa a se stessa e a gli uomini e pertanto aborrita e derisa dalle altre donne. Allora arretrano di fronte a questo orrore.
La donna che intuisce di poter scegliere l’uomo secondo la propria sensibilità personale spesso si sente arrogante, prevaricatrice, mascolina. Ha paura di rivelarsi inadeguata alla relazione con l’uomo, indegna di amore, quindi tagliata fuori dal proprio genere e dal diritto di generare figli. Per non compiere questo passo che le pare irreversibile e fatale, mette in dubbio se stessa e si subordina.
Il sequestro sociale del potere femminile
Come ho mostrato nel mio libro La lingua perduta dell’amore (2023), a questa scelta di subordinazione hanno contribuito nel corso dei millenni quasi tutte le culture e in special modo quelle aggressive e competitive. Il maschilismo è solo la punta di un iceberg che la cui base è costituita da società strutturate da valori gerarchici di dominanza e sudditanza; società nelle quali il giovane maschio aggressivo e in genere il maschio di potere – giovane, adulto o anziano che sia – incarnano gli ideali valoriali della popolazione, non solo maschile. In queste società non sono poche le donne che si pongono “contro-natura” e si sottomettono ai codici gerarchici, ricavandone vantaggi secondari.
Nondimeno, più in profondità, la realtà femminile è tutt’altra. La donna è depositaria di competenze fondamentali: ha il potere biologico di generare, l’immenso potere dell’accudimento primario e della cura, è depositaria della gestione della vita privata e domestica, ha capacità relazionali paritarie che le consentono una socialità diffusa e collaborativa, gestisce la vita dei sentimenti meglio dell’uomo medio, ha doti intellettuali non minori di quelle maschili e sta sviluppando competenze culturali eccellenti in ogni campo. Ebbene, è proprio per sequestrarle questi vecchi e nuovi poteri e disporne a propria volontà e proprio beneficio che le società maschiliste (centrate sulla leadership maschile e governate da uomini) la hanno indotta alla subordinazione.
Non di meno il tempo passa, i secoli fanno il loro corso, nascono nuove intuizioni e nuovi modelli di pensiero. Oggi la donna, se davvero lo vuole, può disporre di una coscienza morale autonoma che fa sì che il suo potere di scelta sia effettivo. La sua coscienza morale e intellettuale le consente di scegliere con chi generare, dunque quale uomo abbia il diritto di essere riconosciuto come amabile e degno di riprodurre la specie. Considerato poi il potere di cui dispone sulla prole appena nata, ella può decidere come educare maschi e femmine e avere una visione del futuro.
Ogni singola donna, ma soprattutto quella che avverte acutamente il problema di una bassa sensibilità maschile, è chiamata a disporre di questi nuovi poteri.
Il diritto di scelta
Per la donna accettarsi sensibile, dotata di dignità, intelligenza cognitiva e “intelligenza d’amore”, significa sentirsi nel diritto di distinguere fra gli uomini: fra quelli sensibili e capaci d’amore e quelli prepotenti e incapaci. Significa quindi sentirsi nel diritto di scegliere sulla base del proprio personale giudizio quali sono gli uomini amabili, quindi quelli “giusti”, quelli adeguati alla propria complessa e sensibile natura psichica, quelli meritevoli di riprodurre la specie umana.
In questo seno una donna è virtualmente nella condizione di non accontentarsi di un uomo unicamente perché ha la sagoma di un uomo, le presta qualche attenzione e le chiede una relazione sessuale. È nella condizione di sottrarsi al fascino ambiguo del “maschio ideale”: cultore della forza, dominante, anaffettivo, implicitamente sadico. Una donna che abbia raggiunto la salute mentale avverte il bisogno di essere amata in un regime di dignità. Ed amare nel rispetto della dignità implica, da parte dell’uomo, una empatica e profonda sensibilità allo specifico dell’essere donna, al bisogno proprio della donna sana di essere coinvolta in una relazione intensa, paritaria e rispettosa.
I rischi del masochismo e della anoressia sentimentale
Se non accetta e pone in essere questa sua intrinseca vocazione alla selezione della qualità amorosa, la donna corre due gravi rischi, l’uno opposto all’altro: il masochismo da una parte e l’anoressia sentimentale dall’altra. del primo rischio ho parlato nei libri Volersi male (2002) e L’amore impossibile (2015), del secondo nei libri La paura di amare (2012), L’ombra di Narciso (2017) e Relazioni crudeli (2019).
Il rischio del masochismo si realizza laddove la donna, avvertendo in modo intuitivo e confuso la squilibrio dei ruoli di genere, si sottrae al prepotere del modello maschile dominante. Posta la sua resistenza e nonostante il suo apparente impegno, ella vede i suoi rapporti sentimentali fallire uno dietro l’altro. Ma il suo opposizionismo è inconscio, quindi ella equivoca sulla fine dei rapporti e li attribuisce, anziché alla sua volontà, a un destino misterioso. Pensa allora di essere una sorta di “creatura maledetta”, afflitta da una incoercibile sterilità del cuore, condannata a un destino negativo che la vedrà per sempre indegna di amore e di generazione. In casi estremi, giunge a considerarsi una vera e propria anomalia biologica finendo per aver disprezzo, disgusto e paura di se stessa.
L’immagine interna negativa così strutturata la spinge allora ad avviare relazioni sempre più improntate alla penitenza e alla sottomissione finendo per eccedere nel masochismo. Organizzata una personalità masochistica, la donna a questo punto accetta di farsi sottomettere dal primo uomo che la richiede in una relazione sessuale o di cura, un uomo che la tiene avvinta a sé con la piattezza dell’ovvietà o con la prepotenza. Spesso l’esito del masochismo è la depressione.
Il secondo rischio cui accennavo è quello dell’anoressia sentimentale e si configura quando la ripugnanza istintiva per il ruolo servile impone alla donna una radicale chiusura nella paura di amare e di dipendere da un padrone insensibile. Ciò può avvenire ex abrupto, sin da giovanissime, oppure dopo che si è accumulata una lunga serie di esperienze negative. A questo punto, la donna finisce per scivolare in quella forma di solipsismo relazionale, di autarchia affettiva che io per primo, sin dagli anni 2000, ho chiamato “anoressia sentimentale”.
La mail di Francesca
Ecco qui di seguito una vivida testimonianza dell’angoscia femminile di fronte al potere di scelta, seguita da una mia breve risposta.
Gentile dottor Ghezzani,
mi chiamo Francesca, sono una ragazza di 28 anni e alcuni anni fa ho avuto una relazione, durata un anno, con un ragazzo più piccolo di cinque anni. La sua spontaneità e la sua bontà iniziale, unite a quello che a me è sembrato un suo bisogno di sicurezza e di rassicurazione, mi spinsero a donargli amore in modo incondizionato, forse al limite del patologico, come mai avevo fatto prima.
Premetto che da che ho memoria, non ho mai visto i miei genitori andare d’amore e d’accordo e questo mi ha spinto ad amare con maturità molto tardi. Quando è capitato questo ragazzo ne avevo un bisogno disperato, talmente disperato che non sono stata in grado di capire che la sua gelosia retroattiva e la gelosia patologica, non erano una dimostrazione d’affetto ma un modo di controllarmi.
Non capivo che le continue accuse che mi rivolgeva, il suo continuo colpevolizzarmi, frustrarmi fino a vedermi, con soddisfazione, senza forze, senza speranze, senza lucidità, erano un modo per manipolare la mia coscienza. Nel suo narcisismo esistevano soltanto le sue esigenze, i suoi tempi, le sue concessioni, mascherate da qualcos’altro.
Esistevano litigi di cui non capivo il significato, ma che pure tentavo di risolvere, ingiurie pesanti alla mia persona, ai miei amici, al mio mondo, continui paragoni con se stesso (che era il modello perfetto) e con SUA MADRE! (una donna depressa che fa da serva nella sua stessa casa legata da un amore masochista a un marito geloso). Non so dire quanto è stata colpa del mio vuoto affettivo precedente e quanto della sua manipolazione, ma mi diedi a lui con passione, devozione, sottomissione, disperazione e masochismo. Era una continua tragedia dalla gestualità forte, ma priva di contenuti… così come era come lui con me.
Le sue aggressioni verbali cedettero il posto a quelle fisiche quando capì di avere un forte ascendente su di me, e quando io, stanca di non vedere progressi, iniziai a ribellarmi con più ferocia alla sottomissione. Stanco di me, stanco di avere una ragazza che non riusciva più a dominare e che si mostrava insoddisfatta, se ne andò da un giorno all’altro, lasciandomi nell’incredulità più assoluta: io credevo che, con pazienza, l’amore avrebbe vinto su ogni cosa. Sicuramente non ero lucida in quel periodo, ma ricordo di aver visto il vuoto nei suoi occhi da una sera alla mattina successiva. Il mio cuore sapeva che era vero: non provava né sentimenti, né compassione, né cercò di aiutarmi nella separazione. Fu drastica perché lui volle così, e la sera stessa ebbe un’avventura con una ragazza di passaggio. Il mio cervello invece, ci mise due mesi per placarsi, cercando una spiegazione a tutto ciò che mi era successo, lacerandomi le giornate e le notti.
Grazie al suo sito e ai suoi libri io ho capito molte cose e ora non provo più rabbia per ciò che mi è successo. Oggi ho una relazione da 7 mesi con un altro ragazzo, che di certo non ha disturbi come il precedente e ama in modo più sano. Ma io non sono più la stessa ragazza in cui mi sono sempre riconosciuta.
All’inizio ero insicura e spaventata, piano piano iniziai a fidarmi di lui. Alla prima difficoltà però sono crollata: tempo fa il mio ragazzo ha partecipato a un addio al celibato e, nonostante le mie richieste contrarie, ha palpato la spogliarellista. Anni fa, forse davanti a una cosa del genere avrei reagito con una semplice frase del tipo «sei un idiota!» accompagnata da un’espressione di superiorità. Invece, oggi, quel poco di fiducia che avevo riposto in lui è sparita. Non volle raccontarmelo e mi mentì per due giorni sull’accaduto. Credeva, nella sua superficialità, di non aver fatto niente di male, credeva che mentendo avrebbe insabbiato tutto, non rendendosi conto di mancarmi di rispetto due volte.
Ancora oggi, ogni mattina mi sveglio perché il mio cervello mi passa in rassegna le immagini di quella sera, e apro gli occhi con dolore. Lui mi ha chiesto mille volte scusa, vedendomi affrontare questa storia con attacchi d’ansia e di pianto. Io gli ho dato un’altra opportunità, perché senza di lui non riuscivo a stare: era l’unico che riusciva a consolarmi, lui, paradossalmente, la causa del mio male. Ho scoperto altre piccole bugie, sembra che lui tema la verità quanto teme il fatto di dichiararsi un bugiardo e di stare dalla parte del torto. È presuntuoso, è cosi permaloso che ammettere di avere torto è per lui come ingiuriarsi da solo. Non lo farebbe mai.
Io ora sono gelosa, sospettosa, non riesco a dargli fiducia, a ridimensionare gli eventi, non riesco a sentire il suo amore, non riesco ad amare con entusiasmo. A volte credo che non sono pronta per un’altra storia, altre credo che lui è troppo immaturo per me. Ma effettivamente non credo che potrei lasciarlo. Mi rendo conto che i problemi che mi pongo non sono poi cosi gravi, che dovrei ridimensionarli, ma la mia “anoressia sentimentale” sembra non recedere.
Crede che qualche consulenza con Lei potrebbe aiutarmi a capire come procedere? O pensa che io abbia bisogno di un percorso di psicoterapia?
La mia risposta
Cara Francesca,
grazie della mail. La sua è una testimonianza sofferta, ma devo aggiungere che per tanti aspetti è esemplare.
I rapporti sentimentali sono difficili e non esiste un unico “modello” per affrontarli. Spesso ci impegniamo in essi con una modalità emotiva assoluta: alcuni noi applicando tutta la propria umanità, pur sapendo in partenza che sono di difficile gestione e ci faranno soffrire; altri vi reagiscono chiudendosi nella diffidenza e nell’autarchia, vale a dire in una difesa che consente di attraversare la vita indenni dal dolore, ma in modo solitario, spesso sterile. Non c’è una sola strada, ognuno investe la sua vita come può.
Non c’è dubbio, che, dai dati che fornisce, si possa definire il suo ex compagno come un narcisista, con caratteri tipici: un individuo incentrato sui propri bisogni personali, inderogabili e perentori, da soddisfare a scapito degli altri, anche del partner.
Il suo attuale ragazzo sembra piuttosto un immaturo, ma pervaso anche lui da un codice maschilista. Cosa fare con un ragazzo immaturo e moralmente pigro? La domanda da porsi è questa: un ragazzo che ignora che toccare un’altra donna offende la propria compagna è meritevole di amore? Dipende dal grado di coinvolgimento che lei ha con lui, dunque dal suo amore, ma anche dalla capacità del ragazzo di empatizzare, mettersi in discussione e maturare.
Se sente di amarlo, dovrà spingerlo a crescere e a capire cosa significa svalutare la propria partner e offenderla, e capire quanto è diversa una sensibilità matura, sia femminile che maschile, da quella indotta dai codici sociali ordinari, vale a dire quelli maschilisti.
Se ha invece Lei ha dubbi sostanziali sul suo personale sentimento, se intuisce di stare con lui all’unico o principale scopo di evitare l’angoscia della solitudine, o evitare l’angoscia di colpa di lasciarlo, allora forse non è innamorata. Quindi non vale la pena insistere in questo impegno.
Lei è rimasta ferita dalla prima esperienza, ha visto quanto il maschio medio possa essere anche mediocre e quindi deludente per una donna sensibile e matura. Una donna siffatta non può soffocare la sua sensibilità e il bisogno di essere amata con profondità e rispetto.
Ovviamente possiamo fare dei colloqui professionali, se crede. Il punto cruciale però è la natura ambigua e complessa della fiducia. Possiamo darla solo se amiamo e se ci sentiamo amati in un regime di reciprocità, almeno potenziale.
Con stima,
Nicola Ghezzani
Bibliografia
N. Ghezzani, Volersi male, FrancoAngeli, Milano, 2002.
N. Ghezzani, La paura di amare, FrancoAngeli, Milano, 2012.
N. Ghezzani, L’amore impossibile, FrancoAngeli, Milano, 2015.
N. Ghezzani, L’ombra di Narciso, FrancoAngeli, Milano, 2017.
N. Ghezzani, Relazioni crudeli, FrancoAngeli, Milano, 2019.