L’anoressia sentimentale. Isolamento affettivo e narcisismo patologico
Individui senza intimità
Molti anni fa, negli anni Novanta, ho coniato il termine “anoressia sentimentale” allo scopo di definire un nuovo disturbo dell’identità affettiva che mi parve d’un tratto epidemico. Il termine ha gravitato a lungo e in modo colloquiale nel mio lessico privato, finché un giorno ne ho parlato in un passaggio del libro L’amore passionale. Nel passaggio descrivevo quelli che a mio avviso sono i quattro stati patologici elementari, ossia le maggiori organizzazioni difensive nei confronti dell’odio primario suscitato dalla carenza affettiva: 1. la depressione primaria; 2. la compulsione affettiva (o dipendenza affettiva); 3. l’isolamento emotivo; 4. la perversione. Relativamente al terzo punto, ossia l’isolamento emotivo, notavo:
L’isolamento emotivo è il terzo possibile sviluppo patologico nei confronti dell’ambivalenza; stato nel quale l’individuo prende una distanza “fobica”, impaurita rispetto ai bisogni e agli appetiti che l’hanno fatto soffrire nella fase della perdita dell’amore e della soppressione dei propri desideri e della rabbia che ne era conseguita. Per le età adulte definisco questo stato come “anoressia sentimentale” o “autarchia affettiva”: la persona invasa dalla sofferenza reagisce – dopo una più o meno lunga incubazione nella depressione anaclitica e spesso anche nella dipendenza affettiva – schermando la propria interiorità con una rigida maglia di controllo e inibendo i propri bisogni di relazione, talvolta elaborando, allo scopo, uno stile di rapporto fatto di rapide incursioni nel legame e di fughe altrettanto repentine o un sistema razionale di pesi e contrappesi il cui fine è limitare i contatti1 .
Due anni dopo, infine, diedi alla luce un ampio saggio monografico in cui descrissi il fenomeno in modo analitico e circostanziato. Il libro è La paura di amare2 e affronta il tema sia sul piano teorico e clinico che su quello delle biografie di personaggi illustri.
In realtà l’anoressia sentimentale non può essere definita un disturbo nuovo perché, sebbene in modo occasionale e aspecifico, è sempre esistita. Individui refrattari alla relazione affettiva stabile e profonda sono esistiti in ogni luogo e in ogni epoca. La differenza fra ieri e oggi consiste nel fatto che questa caratteristica era un tempo appannaggio di pochi individui o di fasi di passaggio nella vita di ciascuno. Oggi invece essa è diffusa tanto quanto la sua sindrome speculare: la dipendenza affettiva.
Se pensiamo ai miti greci, figure come Diana, la cacciatrice ostile all’incontro sessuale con l’uomo, o come Narciso, il bellissimo giovane refrattario all’attrazione erotica nei confronti di chiunque eccetto che di se stesso, risulta evidente che già gli antichi avevano una chiara consapevolezza dell’esistenza di individui contrari all’impulso amoroso. Ma per gli antichi si trattava di casi “estremi” – e perciò mitizzati – posti ai confini di un continuum di più normali e prevedibili condotte affettive. Miti come quello di Diana o quello di Narciso servivano appunto a delimitare lo spazio della normalità indicandone le possibilità opposte ed estreme: la donna orgogliosa e selvatica ostile all’uomo e il ragazzo sprezzante nei confronti del sesso.
Oggi, l’anoressia sentimentale non è più un’ipotesi mitica, non è fatta di casi estremi; è invece una realtà che investe entrambi i sessi e pervade ogni livello della società.
Quali sono i “sintomi” di questa nuova sindrome?
I sintomi sono tanti e definiscono tipologie diverse. I sintomi “basici” del tipo più generale sono questi che seguono. L’anoressico, anche quando sia una persona socievole e ben inserita nel contesto parentale o lavorativo, ha un’interiorità chiusa e solitaria. Non conosce e di fatto teme l’intimità psicologica e affettiva. Laddove l’ha vissuta (innanzitutto nei rapporti primari) ne ha una confusa memoria, quindi la intuisce e non di rado la desidera; ma allo stesso tempo la evita con ogni forza. Spesso, quando ha amicizie, queste sono più “conoscenze” che vere amicizie, e comunque non ha “amicizie del cuore”. Ma soprattutto, se anche ha storie sentimentali, non si lascia mai coinvolgere fino in fondo, offre sempre una resistenza ai tentativi dell’altro di fargli ammettere e vivere un sentimento. Se talvolta manifesta un desiderio, una nostalgia, un bisogno di relazione amorosa, di fatto ne è difeso da un guscio, uno schermo, una corazza che ne impedisce ogni possibile, eventuale manifestazione.
Individui senza intimità
E’ legittimo adoperare il concetto di anoressia per descrivere l’inibizione del pathos erotico e amoroso?
Sì, lo è.
Anoressia è parola ricavata dal greco: dal prefisso an, che implica privazione o negazione, e dal verbo orao, che significa desidero, appetisco. Anoressia significa dunque “mancanza di desiderio”. Nel mondo contemporaneo è adoperata per definire la mancanza di desiderio di cibo, ovvero il rifiuto attivo del cibo. Ma si tratta di un uso restrittivo del termine. Nella sua accezione più estesa (e corretta) l’anoressia riguarda ogni aspetto del desiderio, compreso quello amoroso e sessuale. Dunque, come esiste una anoressia alimentare esistono anche una anoressia sentimentale e una anoressia sessuale, che non di rado coincidono fra loro. La dizione “anoressia sentimentale” significa inibizione o rifiuto del desiderio di contrarre relazioni amorose, della cui intensità, esclusività e durata si ha paura, odio e ripugnanza.
Cos’è, dunque, nei fatti l’anoressia sentimentale?
La fenomenologia è la più varia: chi ne è affetto può essere tanto un individuo solitario quanto una persona in apparenza socievole, amante della buona compagnia e dei divertimenti. Ma la struttura di personalità è sempre la stessa: il bisogno affettivo è rimosso in virtù della creazione di una personalità autarchica, chiusa in se stessa, regolata da stili di vita tanto indipendenti e conflittuali da non consentire la nascita e la persistenza di legami.
Ogni qual volta la possibilità di amare riesca ad aprirsi un varco nella rigida armatura difensiva sorge in taluni una strana, apatica malinconia, in altri un sentimento d’inquietudine e di pericolo e una rabbia cieca, come se l’amore fosse un’offesa, in altri ancora una fredda razionalità che vede nel soggetto innamorato (la persona che ha penetrato le difese del cuore) solo vizi e difetti e nella nuova opportunità una fonte incessante di dubbi e di preoccupazioni. La relazione è resa impossibile da una somma di fobie, paure, ossessioni, rabbie, rivendicazioni, evitamenti, conflitti, crudeltà.
La complessa operazione psicologica con cui l’anoressico dei sentimenti si difende dalla relazione consiste di due azioni simultanee, una effettuata nel mondo esterno, l’altra in quello interno. Da una parte egli si nega all’intimità affettiva con la persona reale secondo modalità che possono essere timide e impaurite o scostanti, fredde e crudeli; dall’altra crea dentro di sé una relazione immaginaria – con la stessa persona o con altre persone, più o meno reali – che gli consente il controllo e la distruzione dei desideri.
Questa seconda è l’operazione più complessa: l’anoressico si sente costretto a impegnarsi in modo compulsivo in una minuziosa e ossessiva analisi del nuovo candidato partner: allora, pieno di dubbi, si fa di lui un’immagine interiore che denigra allo scopo di renderlo inoffensivo, per esempio esprimendo taglienti giudizi sull’aspetto fisico, l’intelligenza o il carattere, oppure provando sentimenti di ansia o di fastidio ogni volta che questo gli si mostra inerme e innamorato. In altri casi egli utilizza in senso difensivo-aggressivo la fantasia di persone terze: al livello minimo di aggressività, appare molto impegnato nella cura di un parente bisognoso o nell’evocazione di un genitore amato sopra chiunque altro di cui ancora vive il lutto; a livelli di crescente aggressività, ecco che occupa il suo mondo affettivo coi ricordi del suo ex coniuge o fidanzato, la cui memoria è ancora tanto fresca da sembrare viva, oppure di un antico amore perduto che gli si mostra come perfetto, o di vecchi amori che invece lo hanno ferito tanto da sconsigliare ogni ulteriore tentazione. Altre volte, però, a questi atti psichici relativamente “moderati” ne aggiunge almeno un altro, più estremo: il nichilismo pornografico, per cui appena un certo sentimento di vuoto o di malinconia gli si affaccia al cuore e alla mente, viene immediatamente irriso e distrutto dalla frenesia di contatti con l’immaginario pornografico o con professionisti del sesso.
Gli atti di rifiuto sono tali che il potere di attrazione che pervade la persona amata scompare dalla relazione lasciandola spoglia e priva di senso. Un vuoto incolmabile si spalanca allora nei cuori di entrambi e una tristezza, una desolazione, una lacerante angoscia vi s’insinuano come un veleno mortale.
Tipologie caratteriali
Questa resistenza ad ammettere l’amore o comunque il bisogno naturale di esso si manifesta in diversi “modi” – da cui possiamo estrapolare tipologie caratteriali – che coincidono con diversi gradi di esposizione emotiva.
Alla base di questa resistenza dobbiamo immaginare sentimenti di insopportabile intensità: l’angoscia di sentirsi attratto; la paura di aprirsi e di dipendere; la rabbia per essersi lasciato intrappolare; l’invidia nei confronti di chi i sentimenti d’amore riesce a viverli in una coppia felice.
Il primo “tipo” anoressico, il più trasparente e semplice, è l’anoressico ascetico. In questa tipologia l’anoressico è fondamentalmente un solitario. Si tratta di un individuo ascetico, poco incline alle relazioni in genere, spesso è un timido con tratti infantili, altre volte è un intellettuale puro, più o meno attratto da ideali spirituali e umanitari; altre volte si tratta di un individuo con una normale o anche fitta rete sociale, ma che pur al suo interno resta privo di contatti profondi e duraturi (sia di amicizia che di amore). Quindi, per quanto “buono” o “simpatico” o anche “vitale”, egli si rivela sempre, ad uno sguardo attento, come “incompleto” e “immaturo”.
A un livello più complesso troviamo il single discontinuo, l’individuo che ha relazioni affettive e sessuali brevi e fugaci, non di rado appoggiandosi a reti relazionali fisiche o virtuali. Vive da solo, ma frequenta gruppi, dal vivo o grazie a un qualunque strumento di comunicazione virtuale. Contatta col principale scopo di avere relazioni e una volta soddisfatta la bramosia di fare esperienza o di ottenere una conquista, si ritrae e torna alla sua abituale solitudine. Alla fine, spesso prevalgono la saturazione, l’ipercritica, la noia, il disgusto, la sensazione di uno scampato pericolo, e l’esperienza appena effettuata viene privata di qualunque valore emotivo.
A un livello di maggiore esposizione emotiva troviamo l’anoressico conflittuale. Egli entra nei rapporti, talvolta, in principio, con forti idealizzazioni, con stati di esaltazione che simulano l’innamoramento (e sono invece potenti infatuazioni). Ma presto riesce a trasformare il rapporto in un inferno: la gelosia morbosa e strumentale, la perpetua insoddisfazione, l’invidia, la critica, la competizione entrano in gioco in modo funesto, rendendo il rapporto un terreno di battaglia nel quale, prima o poi, l’uno o l’altro cede. Tutto diventa occasione per animare una tensione e un conflitto e, alla fine, il rapporto di coppia è diventato nient’altro che un campo di battaglia in cui scoprire chi dei due ha più potere. Da questa tipologia in poi entriamo nel campo delle cosiddette co-dipendenze, nelle quali due personalità similmente patologiche possono unirsi, attaccarsi e disunirsi e poi riunirsi ancora in cicli drammatici che possono durare anni. Nei miei libri sui disturbi della relazione affettiva – Volersi male3, Quando l’amore è una schiavitù4, L’amore impossibile5, ho definito questa tipologia di rapporto come collusione sado-masochista.
C’è poi l’anoressico parassitario. Egli vive delle vite altrui, infiltrandosi in esse carico di istanze distruttive dovute alla sua invidia nei confronti di coloro che l’amore sono in grado di viverlo e sono riusciti a realizzarlo. Come i libertini romanzati da Choderlos de Laclos, il seduttore descritto da Kierkegaard o il Bel Ami di Maupassant, possono godere nel sedurre persone predisposte all’amore, ma ingenue, per poi distruggerle con la loro incostanza e il loro disprezzo. Altre volte s’insinuano in una coppia e seducono uno dei due. A una prima impressione sembra che agiscano per amore, cioè per realizzare il sogno della loro vita – sia pure al prezzo della separazione o del divorzio del loro amato. Purtroppo non è così: il vero oggetto delle loro pulsioni erotiche e aggressive è il legame stesso, talvolta una famiglia intera, che suscita in lui (o in lei) un impulso distruttivo perlopiù inconscio. Infatti ottenuto l’amore del partner o la sua disperazione indotta dalla separazione, quindi ottenuta vendetta nei confronti della vita (ossia distrutta quella coppia o quella famiglia “felici”), egli si stanca subito del suo giocattolo rotto e l’abbandona.
Il narcisista manipolatore è infine un’amplificazione e un perfezionamento di quest’ultima tipologia. Egli gode nel controllare la sua preda non perché la ami e ne sia geloso, ma perché il controllo è per lui la forma più perfetta di dominio, quindi di costante svalutazione e denigrazione della persona oggetto delle sue attenzioni. Così agendo, il manipolatore, mentre acquisisce con il maltrattamento della sua preda il “diritto” di umiliare e denigrare costantemente i sentimenti umani di unione e devozione reciproca, allo stesso tempo – e più in profondità – difende se stesso dai sentimenti d’amore, da cui è atterrito e di cui è pertanto incapace. Alla base di questo grave disturbo c’è di solito un bambino deprivato e maltrattato che ha preso a temere e odiare la propria debolezza e – per dirla con Anna Freud – si è identificato col persecutore. Essere “cattivo” è la strategia che adotta per non cadere nel terrore di non valere e di non essere nulla, quindi è una difesa per non cadere nel caos.
Curare l’anoressia. La psicoterapia
Spesso l’anoressico più è grave meno soffre della sua patologia, nel senso che per molti aspetti non la considera un problema e anzi se ne compiace. A livelli di massima gravità, è un borderline con tratti di psicosi caratteriale o è affetto da una perversione morale del tutto egosintonica; in entrambi i casi la coscienza non è in grado di sviluppare né senso di responsabilità né sensi colpa.
Non di meno, a qualunque livello, egli può avvertire una qualche forma di sofferenza, fosse anche di natura psicobiologica (insonnie, dolori neurologici, disturbi gastrointestinali o cardiaci, ecc.…) e questa è l’indicazione principe perché il disturbo sia riconosciuto dal paziente e sia pertanto aggredibile sul piano psicoterapeutico.
Ai livelli minori, l’anoressico soffre quando i comportamenti di evitamento affettivo inducono in lui un senso di vuoto e di solitudine e la desolante certezza di non poter accedere ai normali piaceri della vita di relazione. Ai livelli maggiori – spesso anticipati da gravi disturbi del comportamento (disregolazione alimentare e sessuale, condotte pericolose e autolesive, attacchi di rabbia e violenze) – egli può passare da un’angoscia confusa a chiare manifestazioni del senso di colpa: allora sia l’anoressico conflittuale, che quello parassitario, che infine lo stesso narcisista manipolatore possono essere turbati in profondità dai danni compiuti dalle loro azioni.
Il malessere con cui questi tipi caratteriali si presentano in terapia è di solito confuso e in larga parte inconscio. Spesso mostrano rabbia nei confronti di coloro che li hanno delusi (e che in realtà sono stati vittime delle loro compulsioni al conflitto e alla conquista del potere). Nondimeno soffrono. Vogliono capire perché sono così terribilmente soli e perché il ritratto che gli altri fanno di loro è così negativo. Si tratta di soggetti scissi al proprio interno e poco consapevoli di se stessi e occorre pertanto molta delicatezza nel far sì che si rendano conto che in loro esiste una parte “cattiva”, cioè rabbiosa, infida e distruttiva. Questa parte cattiva ha un’origine e un fondamento, ma non può essere né idealizzata né giustificata, se si vuole avviare un autentico processo di guarigione. L’identità negativa – un Io antitetico autarchico e mortifero – li protegge dal terrore di cadere nella dipendenza d’amore, di sentirsi deboli e impotenti, di andare in depressione. Nondimeno, finché essa viene difesa e avvalorata, il senso di colpa viene rimosso dalla coscienza, quindi reso inutile.
Ma, una volta che il paziente abbia “agganciato” con la riflessione il modus operandi di questa sua identità solitaria e distruttiva e lo avverta come la causa principale della sofferenza sua e delle persone con cui è venuto a contatto, il processo di cambiamento è ormai avviato.
L’integrazione del senso di colpa può dar luogo a sentimenti di grave indegnità personale e a fantasie catastrofiche, fino a generare stati d’animo depressivi, cui lo psicoterapeuta deve saper porre un argine. Se ben contenuti, questi stati mentali si traducono pian piano nella percezione da parte del paziente della propria vulnerabilità personale, non più percepita come malattia da nascondere, ma come espressione della generale e normale precarietà umana. Questo è a mio avviso il passaggio fondamentale, riparativo della propria umanità perduta: solo con l’accettazione della propria normale vulnerabilità il paziente scopre il sentimento della commozione e avvia così la graduale riconquista dello spazio affettivo tra esseri umani.
Il bisogno affettivo si dispiega allora in una piena reciprocità: ora il paziente vuole essere amato e protetto all’interno di un rapporto sicuro, e allo stesso tempo vuole amare e proteggere il proprio partner, perché sente che la circolarità dell’amore lo arricchisce di una dimensione mai esplorata, ricca di conforto e di creatività.
Ciò avviene anche nella relazione terapeutica: se il transfert era stato caratterizzato a lungo da sentimenti di sfida o comunque di diffidenza, d’un tratto il paziente scopre la simpatia umana, la stima, persino la riconoscenza; e il terapeuta ne è grandemente sollevato.
L’apertura di questo nuovo spazio affettivo consente alla paziente, sia in terapia che nella vita affettiva, la condivisione di stati d’animo profondi, solidali, vitali.
Bibliografia consigliata
Per l’anoressia sentimentale e il narcisismo patologico:
Ghezzani N., L’amore passionale, FrancoAngeli, 2010.
Ghezzani N., La paura di amare, Franco Angeli, 2012.
Ghezzani N., L’ombra di Narciso, FrancoAngeli, 2017.
Per la dipendenza affettiva
Ghezzani N., Volersi male, Franco Angeli, 2002.
Ghezzani N., Quando l’amore è una schiavitù, Franco Angeli, 2006.
Ghezzani N., L’amore impossibile, FrancoAngeli, 2015.
Letture professionali:
A. Green A., Narcisismo di vita, narcisismo di morte, Borla, 1992.
Kernberg O., Relazioni d’amore, Raffaello Cortina, Milano, 1995.
Nicola Ghezzani
Psicologo clinico, psicoterapeuta
formatore alla psicoterapia
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Indirizzo Skype: nicola.ghezzani.psicologo
- Ghezzani N., L’amore passionale, FrancoAngeli, Milano, 2010, p. 25
- Ghezzani N., La paura di amare, FrancoAngeli, Milano, 2012.
- Ghezzani N., Volersi male, FrancoAngeli, Milano, 2002.
- Ghezzani N., Quando l’amore è una schiavitù, FrancoAngeli, Milano, 2006.
- Ghezzani N., L’amore impossibile, FrancoAngeli, Milano, 2015.