Il narcisismo come carattere collettivo

Una premessa

narcisismo gruppoLa discussione sul narcisismo è di grande attualità, ma – come accade con tutte le teorie scientifiche divulgate e assimilate dal senso comune – ha subito distorsioni interpretative che la rendono ambigua e strumentale. Innanzitutto, c’è da discutere che cosa definiamo col termine “narcisismo”; poi, quali ne sono le cause. Sui social se ne parla sempre più spesso in termini idiosincrasici, personalistici, generici in modo sconfortante: ognuno ha la sua storia da raccontare in quanto vittima di un narcisista, e il narcisista vi viene descritto come un’entità metafisica, nato così come appare: cioè freddo, crudele, manipolatore. Una sorta di vampiro che attraversa i secoli sempre uguale a se stesso, un prodotto del Male impresso nel DNA e riprodotto nei cicli riproduttivi dell’umanità senza alcuna alterazione né caratteriale né storico-sociale. 

Si sente, in queste interpretazioni, la condanna di marca religiosa della “razza di Caino”, che attraversa i millenni. Una condanna che parte dal presupposto religioso che il male sia un’entità metafisica, ossia oggettiva e innata e quindi da stigmatizzare ed espellere dalla comunità umana. Questa narrazione non ha lo scopo di affrontare il fenomeno come un fatto umano, comprensibile su un piano psicologico e gestibile con strumenti razionali, né di comprendere e risolvere le questioni scientifiche e cliniche poste da una anomalia caratteriale specifica. Ha semmai l’obiettivo di alimentare col manicheismo più radicale il conflitto fra i sessi, in apparenza a detrimento di uno, in realtà a danno di entrambi. 

La definizione odierna del narcisismo come una patologia che affligge il solo sesso maschile è un’operazione peggiore di quella compiuta nell’Ottocento con la categoria dell’“isteria”. In principio e per molto tempo gli psichiatri pensavano in buona fede che l’isteria fosse un disturbo che affliggesse il solo genere femminile. Ci vollero scienziati di altissimo livello (psichiatri come Jean Martin Charcot, neurologi come Sigmund Freud, ricercatori universitari come Pierre Janet) per scardinare il pregiudizio e descrivere per la prima volta casi di isteria maschile. Oggi la categoria dell’isteria è in disuso, ma chi ancora la adopera la applica tanto al genere maschile quanto al femminile. Si trattava dunque di un mero pregiudizio ideologico, funzionale all’ordine sociale di quel periodo storico, che venne poi dissolto dalle evoluzioni della mentalità e del pensiero scientifico. 

Con un’analogia pertinente, potremmo dire che il discorso odierno sul narcisismo più che agli studi sull’isteria somiglia ai trattati teologici e ai processi inquisitori del Sei-Settecento nei confronti delle streghe, nei quali una condizione umana tragica veniva traslata su uno sfondo metafisico e resa del tutto improduttiva sul piano scientifico, politico e sociale. 

D’altra parte non possiamo negare l’importanza che l’argomentazione mitica assume nei fatti umani. Il narcisista vampiro e demone distruttore è una grande figura mitica dell’immaginario collettivo contemporaneo. Ciò vuol dire che una parte della popolazione mondiale (o almeno del mondo occidentale che si nutre di psicologia) si sente minacciata da un’altra parte dell’umanità, la quale viene percepita e descritta in termini sovraccarichi di pathos e di urgenza drammatica. Anche se non è rigoroso e scientifico, l’immaginario mitico afferra una verità storica. Sta a noi oggettivarla, razionalizzarla e capirla, senza farla cadere nelle “morte gore” della superstizione e del pregiudizio. Cosa si nasconde dietro la paura del narcisista? Quale segnale di allarme individuale e collettivo scatta nella mente delle persone e nei tam-tam della discussione pubblica?       

Con questo articolo vorrei invitare il lettore a riflettere sull’immensa diffusione del narcisismo nel mondo contemporaneo, quindi sulle sue caratteristiche sociologiche, che lo rivelano come una patologia più del carattere che dei geni, segnata in profondità dall’incidenza dell’ambiente storico. 

Vediamo innanzitutto il narcisismo oggi come si presenta. 

Tipologie

anton-corbijnAnoressia sentimentale. Al livello minimo di espressione fenomenologica, il narcisista si comporta proprio come Narciso, il giovane cacciatore del mito greco: si isola dai contatti intimi, di natura sentimentale, per via di una intensa angoscia di dipendere. Talvolta è una persona solitaria, condizionato da una marcata angoscia sociale, ma più spesso egli presenta comportamenti sociali nella norma e una attività sessuale anch’essa apparentemente normale. Ma, indagato più in profondità, il narcisista di questo tipo rivela che né i comportamenti sociali né quelli sessuali danno mai luogo ad una qualche forma di intimità sentimentale. 

Poiché proietta sull’altro essere umano una volontà di dominio e di sfruttamento e sul legame un potere di attrazione e di annichilimento, egli evita di coinvolgersi in un sentimento, di immergersi nella vita interiore dell’altro, di identificarsi con lui. A livello sessuale, spesso ha contatti effimeri, privi di intimità, o prolungati ma di natura puramente erotica, compulsiva e sfruttatoria. Sin dagli anni Novanta del secolo scorso, ho definito questa tipologia di narcisismo col termine anoressia sentimentale. Ne ho parlato nella monografia La paura di amare (2012).        

Narcisismo parassitario. A un livello di maggior gravità, il narcisista ha sviluppato una minuziosa capacità di seduzione e sfruttamento del partner. La paura del legame, che è propria del primo livello, è pressoché scomparsa per dar luogo a un carattere egosintonico, di cui il soggetto si compiace. 

Benché egli debba nascondere i suoi fini egoistici, per non suscitare la condanna sociale, dei suoi comportamenti egli si fa un’ideologia e ne va fiero. Di solito individua persone altamente sensibili, fiduciose e dotate di caratteri speciali, per farne delle vittime. Quindi le sfrutta in vario modo: come oggetti sessuali, come serbatoi affettivi, come persone dotate di abilità speciali, non di rado anche su un piano economico, poi le frustra e le abbandona, oppure le tiene in sospeso in una sorta di harem disponibile per il bisogno del momento. 

La persona altamente sensibile come vittima privilegiata. Vale la pena focalizzare il complesso rapporto che lega il narcisista parassitario alla sua vittima privilegiata, che è di solito una persona altamente sensibile. Le persone altamente sensibili sono suscettibili di essere sedotte e sfruttate per vari motivi: primo perché sono fiduciose, quindi, per alcuni aspetti, ingenue; secondo perché, dotate di intuizione empatica e di capacità di analisi critica, sono state educate a misconoscere i difetti altrui e a rimuovere i loro stessi più segreti giudizi critici, quindi a forzarsi nell’ingenuità. 

A queste due dinamiche di base, si sovrappongono altre dinamiche ancor più patologiche. La prima è la proiezione. Poiché l’attitudine critica induce in loro acuti sensi di colpa, le persone sensibili tendono a far uso della proiezione, che consiste nell’attribuire al partner le proprie migliori caratteristiche. Lo vedono allora ingenuo, fiducioso, sensibile, vittima di un destino negativo. A questo punto, sono costrette a credere che sia impossibile che il partner, di cui pure intuiscono la negatività, possa essere così spregevole, crudele e privo di empatia come a volte appare. Se poi talvolta si ribellano e danno luogo a rabbie o temporanei abbandoni, interviene la seconda dinamica patologica: il senso di colpa. Dopo aver attaccato il partner, se ne pentono, e temono di essere a loro volta giudicate e abbandonate. Ed ecco che fanno ritorno all’ovile ancora più sottomesse di prima. 

Buone e altruiste in modo compulsivo e dotate di elevate qualità, le persone altamente sensibili finiscono per essere le prede preferite del narcisista parassitario. Quando si valuta la connivenza della vittima rispetto al suo sfruttatore, occorre dunque tener presente che le vittime di manipolazione il più delle volte non sono persone nè malate nè fragili, ma hanno un preciso fattore di vulnerabilità. Contrariamente a quanto si pensa, possiedono tratti caratteriali forti e doti spiccate di empatia e altruismo sociale. Della ricchezza empatica di queste persone ho parlato in modo ampio e documentato sin dal 2002, nel libro Volersi male, dove peraltro spiegavo la frequente correlazione fra la dote empatica, l’alta sensibilità e il carattere masochista, quindi la collusione sadomasochista (detta anche co-dipendenza) che unisce un empatico altruista con un egoista sfruttatore. 

L’altruismo che caratterizza le persone iperdotate di sensibilità empatica ha subito, sin dall’infanzia, un modellamento educativo sacrificale, sicché al momento di esercitare la propria reazione morale e l’analisi critica della relazione, esse fanno un passo indietro, si mortificano e inibiscono, quindi idealizzano il partner e sminuiscono se stesse, spesso si autoaccusano di colpe immaginarie. In questi casi occorre capire il ruolo del Super-io e del senso di colpa. C’è in queste persone un sorta di abitudine alla soggezione morale, una Fuga dalla libertà (per citare il titolo di un capolavoro ancora attuale di Erich Fromm) e un fortissimo e mal diretto bisogno di credere, quindi di soggiacere ad una autorità morale anche ambigua e anche prepotente.

Narcisismo maligno. Uno dei livelli più gravi di narcisismo è quello che chiamo maligno, caratterizzato da un accentuato sadismo, cioè dal godimento della sofferenza altrui. Il narcisista maligno ha in odio le qualità migliori della specie umana e delle persone sensibili e dotate a lui vicine. Anche se può dare l’impressione di agire per sfruttare il suo partner, come fa il narcisista parassitario, non è così: il suo fine è più crudele. Egli è abitato da uno dei sentimenti più temibili della specie umana, che è l’invida distruttiva. Di solito, nel corso della sua vicenda evolutiva, ha subito traumi, in conseguenza dei quali ha deciso di disumanizzarsi scegliendo la via della crudeltà: essere crudele lo fa sentire dalla parte dei carnefici, non delle vittime. Questa scelta è la sua dannazione. Sentendosi intimamente danneggiato nella sua più intima struttura caratteriale per scelta compiuta, e avendo in odio chi dell’esistenza ne fa un buon uso e ne gode, egli cattura la sua vittima (una persona che egli ammira e invidia) per farla oggetto di tormenti e distruggerla. Allora può sedurre e poi denigrare, offendere, maltrattare, umiliare; poi di nuovo esaltare e di nuovo abbattere, in un gioco estenuante. Altre volte può ordire complesse macchinazioni allo scopo di sconvolgere la vita e la mente della persona odiata, di cui non di rado finge di essere un amico, un amante o comunque un difensore. Per questa via si può arrivare alla psicopatia, una forma gravissima di delinquenza morale. 

Per capire le basi emotive del narcisismo maligno occorre capire a fondo cosa sia l’invidia.

Disturbo mimetico di personalità. Nel mio libro La specie malata (2020) descrivo per la prima volta nella letteratura internazionale un disturbo della personalità che ho potuto individuare grazie ai dettagliati racconti di alcuni pazienti. Si trattava di pazienti con doti intellettuali affettive e non di rado anche estetiche molto elevate, che si scoprivano oggetto di attenzioni particolari da parte di un amico o di un parente, talvolta di uno sconosciuto che faceva di tutto per essere loro amico. Nel giro di mesi e anni, questi pazienti si accorgevano di essere stati imitati in tutto, fatti oggetto di invidia, infine di sottili manipolazioni e subdole denigrazioni distruttive. La persona che li imitava, rubava loro l’idea di un capo di abbigliamento, di un trucco, di un modo di essere, talvolta cercava di sottrarre loro un affetto, il marito o la moglie, persino i figli. Questa persona è affetta da quello che ho voluto chiamare disturbo mimetico di personalità, una forma particolare di narcisismo. Chi ne soffre vive d’invidia, ha il terrore di essere nulla e ha bisogno di qualcuno da imitare e sfruttare per sentirsi vivo. Di solito cerca un individuo ricco di doti intellettuali e affettive, ma fiducioso e ingenuo, per farne la sua vittima.

Una nota particolare va alle vittime. Spesso si tratta di persone plusdotate, altamente sensibili, di cui viene invidiata e odiata proprio la ricchezza potenziale. Esse subiscono di fatto un plagio e un trauma.

Nel libro, affermo (seguendo in questo Ivan Illich e René Girard) che l’invidia è il sentimento dominante dell’epoca contemporanea. Ognuno guarda l’altro, soffre se l’altro ha qualcosa più di lui, cerca di ottenerlo in tutti i modi e se non vi riesce vive per distruggere la vita dell’altro. Lo “guarda con odio” (da qui l’etimologia di “invidia” dal latino “in-videre” cioè “guardare male”), vorrebbe ucciderlo con la sua malevolenza. In questa realtà sociale fatta di individualismo invidioso non c’è posto per la cooperazione e l’amore. Il disturbo mimetico di personalità diventa allora una forma perversa di normalità. 

Narcisismo sociale. Seguendo le indicazioni di Erich Fromm, Christopher Lasch, René Girard e di altri sociologi, ritengo che mentre il mondo dell’Ottocento e della prima metà del Novecento è stato un mondo costruito sulla base di codici gerarchici, quindi con una psicopatologia derivata dalla subordinazione, il mondo attuale è infra-strutturato da codici individualisti, il cui riscontro patologico in assoluto più frequente è il narcisismo. Viviamo in una società narcisista. Non è più una società né patriarcale né matriarcale, chi è rimasto a questa analisi sbaglia. Il modello oggi dominante è quello del maschio single promiscuo e consumista, di qualunque etnia, sia etero che omosessuale e comunque anti-famiglia, che si sposta rapidamente e senza strascichi emotivi, che vive ben isolato dai sentimenti e la cui stella polare è acquisire capitale da spendere sul mercato dei beni e dei servizi.  

La conseguenza del vivere in una società narcisista è che dobbiamo affrontare e studiare una nuova categoria di narcisismo, che chiamo narcisismo sociale, o di massa. Si tratta di un narcisismo che spinge anche le persone più comuni a mostrarsi eccellenti e ammirevoli, e dunque a mentire sapendo di mentire. Il narcisismo di massa fomenta in loro la necessità di apparire piuttosto che essere, inducendo comportamenti esibizionistici e megalomani. Allo stesso tempo però li forza ad adoperare senza scrupoli qualunque forma di narcisismo individuale – da quello parassitario a quello maligno, dal disturbo mimetico fino alla semplice delinquenza morale – per imporsi sul proprio simile e stare dalla parte dei “vincenti”, ossia gli sfruttatori e i distruttori. 

Per quanto il narcisismo sia fondamentalmente individualista o tutt’al più elitario, i moderni narcisisti partecipano di un patetico narcisismo di massa, iper-democratico ed iper-liberale, in cui ognuno può mostrare il cane più bello, il figlio più intelligente, l’amante più giovane, l’auto più potente, l’abito più griffato, purché abbia il denaro per comprarli e l’insensibilità per ostentarli. 

La società narcisista è disposta ad adoperare tutti i mezzi più sleali – il settarismo classista, l’opportunismo politico, l’abuso sociale, la violenza e il tradimento intra-familiari, l’inganno, la truffa – pur di stare dalla parte dei vincenti. Il narcisismo dominante ha reso la vita su questo pianeta sempre più simile a una lotta senza quartiere, come quella andata in scena sul Titanic in procinto di affondare, dove i ricchi e i violenti avevano conquistato la parte più alta del relitto, felici di morire qualche ora più tardi degli altri. Il narcisismo di massa è responsabile non solo dell’imbarbarimento morale e dell’impoverimento sociale delle popolazioni, ma anche del disastro ecologico del pianeta. L’industria globale alimenta bisogni materiali futili di cui allo stesso tempo si alimenta (oggi frenati dalla pandemia di cononavirus): la nuova auto, il nuovo computer, il nuovo cellulare, il nuovo orologio da polso, la nuova tecnica di chirurgia estetica, il nuovo cibo ipercalorico, la nuova dieta dimagrante, il nuovo tessuto sintetico, il nuovo cibo per cani. In sostanza, genera in un circuito chiuso la mentalità narcisista funzionale al consumo dei suoi stessi prodotti. Non solo la vita umana, dunque, ma anche quella del pianeta vengono sfruttate dal narcisismo di massa a fini di auto-conferma.     

Dopo aver pubblicato libri scientifici per descrivere accuratamente il narcisismo individuale nelle sue varianti psicopatologiche, ho voluto indagare questa nuova forma di narcisismo – il comune narcisismo di massa – in un’opera letteraria, la raccolta di racconti Crudeltà, che sta per essere pubblicata dall’editore Segmenti. Ho voluto scrivere un’opera letteraria e non un’opera scientifica perché l’ho ritenuta più funzionale a descrivere l’incidenza del narcisismo nella vita normale, nella vita quotidiana, quindi a considerare l’esistenza di un narcisismo che è sotto gli occhi di tutti, ma che resta invisibile ai più per via di una rimozione collettiva. Molti personaggi del libro sono ricavati dai racconti dei miei pazienti – spesso persone altamente sensibili vittime di partner, amici o colleghi narcisisti –; e ho voluto dare loro testimonianza, creando scene di pura immaginazione in cui non fossero riconoscibili né loro né i loro antagonisti.  

Anestesia narcisistica e pornografia

viso nello specchioNon si pensa mai alle conseguenze dei piccoli atti. Ma quello che ci insegna l’etica filosofica delle epoche illuminate è la fondamentale importanza del piccolo atto nella genesi del bene e del male (ossia del danno e del beneficio a carico proprio, altrui e della natura umana nella sua essenza). 

La pratica della contemplazione dei video porno, che appare appunto come un piccolo atto insignificante, è ormai smisuratamente diffusa. Come sa chiunque si occupi di web marketing, i siti porno sono i più visitati al mondo. Secondo il portale di informazione statunitense ExtremeTech, dall’analisi dei dati si evince che nei loro momenti di picco Xvideos e YouPorn necessitano di una banda di poco inferiore ai 2 terabit al secondo (2mila gigabit). Cifra che equivale a circa il 4% del traffico mondiale giornaliero. Tenendo conto che esistono più o meno una decina di siti porno grandi come Xvideos o YouPorn e moltissimi altri più piccoli, si può stimare che il 40% del traffico giornaliero mondiale sia generato da siti a luci rosse. Il 40% del mondo si abbevera alle fonti del fiume Lete, il fiume dell’oblio. 

La dipendenza da pornografia implica l’assunzione di un certo habitus mentale: senso di onnipotenza (visione infinita, infinite identificazioni), isolamento della scena erotica dal vissuto sentimentale, anestesia emotiva, strumentalizzazione dell’oggetto (passivizzazione della psiche, eccitazione del corpo proprio e immaginazione del corpo altrui). 

Questa tendenza pressoché universale della mente umana contemporanea a idealizzare, oggettivare, anestetizzare e strumentalizzare viene a tal punto negata («Ma via, non fare il moralista! In fondo è solo un gioco!»), che esistono ormai una quantità di social, funzionali a incontri sessuali al buio, utilizzati con disinvoltura da uomini e donne. Questi siti funzionano di fatto con la stessa logica dei siti porno: immagini infinite, classificazione generica, finalizzazione del contatto, rapido avvicendamento degli incontri e dei partner. 

Questa tendenza epocale sta ampliando il potenziale narcisistico insito in una umanità sempre più priva di appartenenze culturali e di radicamenti affettivi. Il narcisismo sorge per compensare un sentimento di vuoto e di impotenza, che piuttosto che essere assunto come problema e curato, viene rovesciato nel suo contrario: in una fantasia compulsiva di potenza e di dominio. Quando il rovesciamento riesce, la personalità va incontro a una scissone: da un lato la tendenza narcisistica maniacale, priva di implicazioni affettive e morali; dall’altro il senso di vergogna, di inadeguatezza e di colpa e la consapevolezza di una dipendenza. L’ipnosi narcisistica si diffonde con la lusinga di piccoli atti: un video porno, un incontro al buio, un’abbuffata solitaria, uno sballo fra amici, la frustrazione inferta a una persona amata, il sadismo nei confronti di un bambino o di un animale, l’acquisto di un oggetto al posto di un incontro con un amico, l’ammirazione e l’esibizione dei simboli del successo, la fuga dall’interiorità e dai legami. 

Naturalmente non basta l’episodio sporadico, ci vuole l’abitudine. Non di meno quando l’abitudine c’è o c’è stata, ed è strutturata nell’identità, il singolo episodio vale come un “richiamo”, lo switch di un possibile passaggio alla seconda identità. 

E’ importante capire che per quanto il narcisismo sia una patologia del mondo, esso esiste nel singolo individuo e che quindi quel singolo individuo può gestirlo e curarlo. In che modo? Con una serie progressiva di passaggi. Occorre ammettere la propria nascosta angoscia di stringere legami e di affrontare il proprio vuoto interiore, nonché la tendenza a rifugiarsi in paradisi artificiali. Poi, occorre ammettere la necessità di destrutturare l’ideale dell’Io anestetico, insensibile, solitario. Solo così è possibile cominciare a intravedere una via d’uscita. E se la sindrome è egodistonica, cioè se l’Io non vi si riconosce del tutto, allora è possibile guarirne. 

I negazionisti del narcisismo

iGNANT_Fashion_Leonie_Barth_Ich_Ist_Ein_Anderer_19-1440x960Accanto a una tendenza molto diffusa a criminalizzare il narcisista, c’è n’è un’altra, meno diffusa ma più subdola, a negare l’esistenza stessa del narcisismo. Come ci sono i negazionisti dell’Olocausto, che affermano che i campi di sterminio non sono mai esistititi, così ci sono i negazionisti del narcisismo, che dicono: «Il narcisismo non esiste, è un’invenzione degli psicologi!» Di solito si tratta di sociologi o di filosofi, perlopiù uomini, che puntano il dito accusatore contro i presunti interessi di mercato degli psicologi e, implicitamente, contro le “donnette ingenue” che non solo sono state ingannate da un banale seduttore, ma che si lasciano ingannare una seconda volta anche dagli psicologi! Si arriva a dire che il comportamento seduttivo maschile inteso a estorcere piacere sessuale dalla donna è sempre esistito e che questo non giustifica la creazione di una diagnosi psicopatologica. E aggiungono: «Quello definito come narcisista non è un comportamento psicopatologico; è il comportamento normale dell’uomo che cerca sesso. Sono stati gli psicologi a farne un tipo umano: il Narcisista Perverso Patologico. Il cosiddetto narcisista, a un certo punto della sua vita, potrebbe innamorarsi della sua donna, essere fedele e diventare un bravo marito. La diagnosi Narcisista Perverso Patologico è però un’etichetta che piace a molti e viene ormai applicata a chiunque si comporta da seduttore impenitente».
 Queste sono opinioni che non mi sono inventato io; circolano sul Web e sono alla portata di tutti. Purtroppo per loro, così argomentando questi commentatori scettici dimostrano non solo di non possedere alcuna cognizione di psicopatologia, ma di non conoscere né la potenza dei miti, né l’evidenza della cronaca e della storia. 

Ci dicono che il presunto narcisismo è solo banale “dongiovannismo”. In tal modo dimostrano di ignorare la potenza del mito di Narciso, che descrive il comportamento sprezzante di un giovane uomo che, senza nemmeno sfiorarla con un dito, porta alla morte una ragazza (la ninfa Eco), la quale spasima di amore per lui. Ma parlando del dongiovannismo come di un comportamento banale, dimostrano di non conoscere nemmeno il mito di Don Giovanni. La passione di Don Giovanni non è affatto banale, è di distruggere la fiducia di una donna per dimostrarsi superiore non solo a lei ma anche all’uomo legato a lei, padre o marito che sia. Uno scopo, dunque, in cui l’eros si lega al piacere sadico della distruzione. Ma non sanno niente neanche di psicopatologia: nella psicopatologia la figura del narcisismo compare dapprima nella sessuologia, per mano di Havelock Ellis, per poi essere ripresa da Otto Rank e da Freud, seguiti da una fitta schiera di studiosi e psicoterapeuti di cui noi siamo soltanto gli ultimi: Kohut, Lacan, Lowen, Kernberg, Hillman, Green, e filosofi e sociologi come Martin Buber, Christopher Lasch, Jean Baudrillard.
Quali sono i caratteri psicopatologici del narcisismo? Giova ricordarli perché non siano dimenticati. Alla base c’è il rifiuto degli affetti, di conseguenza l’attacco ai legami, la violenza emotiva e fisica, la crudeltà relazionale, l’egocentrismo maniacale, la tendenza manipolatoria, la rabbia borderline, l’invidia, la vendicatività, il sadismo. 

Questi caratteri psichici nascono – è bene ricordare anche questo – come negazione paranoide della propria stessa vulnerabilità personale e come rifiuto dei propri bisogni affettivi.
Il narcisismo non è solo maschile è anche femminile; non è solo di coppia: narcisista può essere sia un genitore che un figlio (tipiche le adolescenze narcisistiche), e può esserlo un qualunque attore sociale che miri a un potere da ottenere mediante una fascinazione sadica ed egocentrica. Inoltre – è bene rimarcarlo – non ha sempre una finalità sessuale, il suo fine è sempre e soltanto il potere.

Della sindrome narcisista esistono molteplici variazioni e gradazioni, che vanno da quelle innocue a quelle estremamente pericolose: variazioni schizoidi, mitomani, megalomani, isteriche, esibizioniste, parassitarie, sadiche, borderline, psicopatiche. 

Negarlo è negare lo specifico della psicoterapia, cioè la gestione della relazione umana. Non solo è psicopatologia, ma è psicopatologia di un genere particolare: si tratta infatti di una perversione morale. Forse i negazionisti del narcisismo, come i negazionisti dell’Olocausto, lo hanno in simpatia? Allora creiamo una nuova “etichetta” e adoperiamola per loro: chiamiamolo narcisismo negazionista. 

Teorie del narcisismo

freudVediamo invece come il significato e l’origine del narcisismo sono descritti nella psicologia scientifica moderna. Provo a descrivere in poche parole tre sistemi di pensiero. 

Teoria delle pulsioni. Secondo la psicoanalisi “ortodossa”, di tradizione freudiana e kleiniana, il narcisismo è un carattere psichico innato, una tendenza naturale all’egocentrismo e alla fantasia di onnipotenza. Secondo gli autori di questa corrente di pensiero, l’uomo è dominato dalle “pulsioni”: impulsi ereditati dalla nostra origine animale. Il narcisismo, in quest’ottica, deriva da un eccesso pulsionale e da un difetto del Super-io, cioè della coscienza morale. Talvolta si tratta di un narcisismo vissuto in solitudine, talaltra è relazionale e pone in essere un danno a carico di un partner o di un gruppo sociale. Heinz Kohut ha analizzato soprattutto il narcisismo autoriferito, Otto Kernberg soprattutto quello relazionale, in cui il narcisista tende a dominare e umiliare l’altro. Secondo questa concezione il narcisismo può essere solo accettato e ridimensionato, perché è un tratto psicobiologico innato, cioè naturale. Questa concezione ha un limite enorme e immediatamente visibile: essa parte dalla patologia per dedurre la salute. E poiché la psicopatologia in ogni sua manifestazione mostra una certa reattività narcisistica, conscia o inconscia, la teoria psicoanalitica dà per scontato che l’uomo nasca narcisista, cioè egoista e amorale. Ma le neuroscienze ci raccontano un’altra realtà: l’uomo è un animale radicalmente sociale. La teoria psicoanalitica non solo non spiega come nasce il narcisismo e perché stia alla base della psicopatologia, ma non spiega nemmeno perché alcuni individui siano malvagi altri no. Insomma, la teoria delle pulsioni è interamente da rivedere. 

Teoria dell’attaccamento. C’è una seconda concezione della genesi del narcisismo alla quale mi sento più vicino, che è quella che nasce da John Bowlby e dalla sua teoria dell’attaccamento. Secondo questa teoria, ogni soggetto tende a costruire il suo modello operativo, cioè le sue difese, a partire dai traumi subiti durante la prima infanzia. Poiché il trauma è sempre relazionale, cioè scaturisce dalla relazione primaria, la difesa consiste nell’evitare le relazioni e/o nell’attaccarle. Il bambino spaventato e disorientato scopre che, se controlla e azzera l’empatia, evita di essere ancora ferito. Il narcisismo nasce dunque come “modello relazionale evitante”: la freddezza emotiva è il suo carattere principale.
Per quanto più scientifica di quella freudiana, la teoria di Bowlby ha un difetto. Il problema consiste nel presupposto di una “continuità caratteriale” dall’infanzia all’età adulta. Chiediamoci: com’è possibile che un modello operativo organizzatosi a uno o due anni resti lo stesso per tutta la vita? E come è possibile spiegare la complessa struttura e le sottili strategie del narcisista adulto con la sola angoscia infantile? Gli psicologi sperimentali che lavorano sull’ipotesi della teoria dell’attaccamento ritengono che essa sia confermata per il fatto che il bambino, osservato vent’anni dopo, ha conservato lo stesso tratto caratteriale di fondo. Ma l’obiezione è facile e spontanea: ovviamente il bambino non è stato separato dall’ambiente familiare e, se lo è stato, è stato messo in un ambiente più difficile, p. es. un istituto. Quindi il bambino ha dovuto mantenere lo stesso modello operativo anche da adulto non perché lui è rimasto lo stesso, ma perché gli ambienti sono rimasti gli stessi o sono peggiorati e lui ha dovuto adattarvisi. Inoltre, persistendo nello stesso ambiente, egli col passare del tempo ha decodificato il trauma in termini di messaggio, cioè di “strategia ambientale perversa”, e vi si è ulteriormente adattato.

Psicologia dialettica. Il concetto di narcisismo primario di Freud e quello di trauma infantile di Bowlby danno solo un’idea parziale dell’estrema complessità del problema. Ciò che è da spiegare non è solo l’impulso naturale o il trauma infantile, ma l’organizzazione adulta di una struttura caratteriale altamente strategica e complessa. La mia teoria, la Psicologia dialettica, si occupa di spiegare la continuità, le eventuali ristrutturazioni e la complessità psicodinamica dell’adulto.

Diversamente dalla teoria dell’imprinting cui fa riferimento Bowlby (che l’ha tratta da Konrad Lorenz), noi oggi sappiamo che il cervello umano infantile è plastico e che una certa quota di neuroplasticità ci accompagna sempre, fino alla morte. Pertanto, nessun trauma infantile genera reazioni automatiche immodificabili, a meno che queste reazioni non vengano confermate dagli ambienti successivi. Pertanto dobbiamo fare i conti con un sorprendente dato storico-sociale: nel mondo contemporaneo, il narcisismo ha assunto una dimensione pandemica. La sua immensa moltiplicazione non può avere solo una causa naturale (come ha argomentato Freud) né solo una causa traumatica infantile (che è l’ipotesi di Bowlby), perché in tal caso il numero di ammalati sarebbe rimasto in proporzione lo stesso nel corso dei decenni. Noi invece assistiamo a un moltiplicazione numerica impressionante. 

Dunque, dobbiamo ammettere che nell’organizzazione di strutture caratteriali adulte complesse intervengano dei fattori sociali: un modello antropologico di relazione che spinge le personalità ancora immature in direzione del narcisismo. Senza dubbio il trauma infantile ha un’indiscutibile (e dimostrata) efficacia nello sviluppo di difese evitanti; ma è altrettanto vero che non esisterebbe un narcisismo adulto se esso non venisse organizzato nella tarda infanzia e soprattutto nell’età adolescenziale e primo-giovanile sulla base di una ideologia implicita delle relazioni umane. Posta la genesi del narcisismo in età della ragione, il narcisista è tale anche perché ha scelto di essere tale, se n’è assunta una responsabilità etica.
 Dunque, il narcisismo trae la sua energia da emozioni primarie come la paura, l’angoscia, la rabbia e l’odio, ma viene organizzato da una articolata “visione del mondo”, un “sistema di valori” in cui dominano la diffidenza, l’anestesia emotiva e un egocentrismo sadico, violento e parassitario che supplisce alla mancanza di significato individuale e collettivo. 

Bibliografia dell’autore sull’argomento trattato

Ghezzani N., Volersi male, FrancoAngeli, Milano, 2002. 

Ghezzani N., Quando l’amore è una schiavitù, FrancoAngeli, Milano, 2006. 

Ghezzani N., La paura di amare, FrancoAngeli, Milano, 2012. 

Ghezzani N., Grammatica dell’amore, Marietti, Milano, 2012. 

Ghezzani N. Perché amiamo, Sonzogno, Milano-Venezia, 2013. 

Ghezzani N., L’ombra di Narciso, FrancoAngeli, Milano 2017. 

Ghezzani N. Relazioni crudeli, FrancoAngeli, Milano, 2019. 

Ghezzani N., La specie malata, FrancoAngeli, Milano, 2020. 

Ghezzani N., Crudeltà. Racconti del narcisismo, Segmenti, Pescara, 2020.  

Nicola Ghezzani

Psicologo clinico, psicoterapeuta

formatore alla psicoterapia

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