Attacchi di rabbia e violenza nella relazione affettiva patologica
Premessa
Nelle relazioni affettive patologiche, sia l’uomo che la donna possono assumere il ruolo caratteriale del prevaricatore violento o dello spietato vendicatore di abusi subiti in quel rapporto o in altri del passato. Essi agiscono in tal modo per diversi e spesso contrastanti motivi: per angoscia di impotenza o per narcisismo, per impulsiva reattività al masochismo o per mera brutalità di carattere.
Spesso nella relazione caratterizzata da dipendenza e co-dipendenza affettiva uno dei due partner va incontro ad attacchi di rabbia che sono vere e proprie esplosioni di furia aggressiva e distruttiva. In alcuni casi, questi attacchi di rabbia sono da ricondurre a disturbi nevrotici, perlopiù curabili. In altri casi, a disturbi personalità più o meno gravi o perversioni morali, decisamente meno curabili.
Talvolta la reazione impulsiva dipende da un carattere ossessivo: l’individuo ossessivo è di solito un tipo rigido e autocontrollato, timoroso del proprio mondo interno e parco di emozioni. Una gran parte della sua energia psichica la spende per tenere in ordine le sue emozioni e inibirne l’espressione spontanea. Il tipo ossessivo può perdere il controllo a causa di acuti e improvvisi sentimenti di insicurezza, oppure per una delusione del suo alto sentimento morale.
Altre volte, la persona è affetta da un disturbo dell’umore: oscilla fra fasi depressive e altre manicali. Quindi ora è triste, ora inquieta. Quando è triste è spesso vittima di acuti sentimenti di auto-disistima e auto-maltrattamento morale. Con la rabbia esplosiva cerca di liberarsi del suo tendenziale masochismo, relegando nel ruolo di vittima il suo partner.
Altre volte ancora ha un disturbo borderline sicché oscilla da momenti di esaltazione maniacale in cui è innamorato come un bambino e pieno di meravigliose premure, a stati di furia improvvisi e senza controllo. In questi casi il suo disturbo si esprime nell’alternanza di una totale dipendenza simbiotica e poi del violento e impulsivo attacco al legame.
Queste tipologie – anche la tipologia borderline – sono tutte affrontabili su un piano psicoterapeutico e curabili, posto ovviamente che la persona intenda mettersi in discussione e affrontare un lungo percorso terapeutico.
Altre volte invece la rabbia è un’emozione fredda e costante, strutturata nella personalità, e viene adoperata con insensibile determinazione allo scopo esercitare un dominio sul partner. Questo tipo di reazione fa capo allora a un disturbo della personalità: isterico o narcisistico, talvolta psicopatico.
In questo caso, si tratta di persone nelle quali il disturbo è “egosintonico”, è cioè vissuto come un pregio, piuttosto che come un difetto. È raro che persone di questo tipo entrino nello studio dello psicologo se non vi sono condotte da necessità tattiche, come ingannare il partner e fare bella figura con amici e parenti.
Il tipo narcisista è così spudorato nel mostrarsi sano da sentirsi e dichiararsi moralmente superiore a chiunque e indenne da patologie mentali. Talvolta giunge a negare – avanzando competenze superiori a quelle dello psicologo – la stessa esistenza del narcisismo. È un verboso e patetico “negazionista del narcisismo”.
Una forma guaribile: la rabbia maschile da insicurezza
Non sempre la rabbia esplosiva fa capo a personalità gravemente patologiche. In non pochi casi, chi pone in essere la violenza è un individuo sensibile, talvolta persino ipersensibile; perché allora scade in questo patologico comportamento? Perché è affetto da insicurezza ansiosa o da una nevrosi, cioè da un disturbo serio, ma curabile con la psicoterapia.
Quando l’attacco di rabbia si manifesta in un uomo sensibile, spesso costui è un individuo insicuro sul piano dell’identità, che ha bisogno di esercitare un controllo sulla partner per proteggersi dall’angoscia della propria temuta insufficienza. Innanzitutto, questa angoscia si manifesta in rapporto a dubbi ansiosi di impotenza caratteriale e sociale: egli non ha un lavoro, non è abbastanza ricco, non è abbastanza colto, teme di non essere rispettato ecc., e di tutto questo si vergogna. La stessa angoscia di insufficienza si manifesta, in secondo luogo, in rapporto al timore della precarietà delle relazioni: in questi casi, l’uomo è tormentato dal dubbio di essere insignificante e inutile o rozzo e insopportabile, o poco prestante su un piano sessuale; quindi teme di non meritare alcun amore, di essere abbandonato e di scoprirsi così ancora più impotente. Altre volte, infine, l’angoscia maschile esplode allorché ci si sente posti sotto ricatto giuridico, qualora si sia costretti all’assegno di mantenimento per la ex compagna e per i figli e a sempre nuove richieste, e si avverta ciò come ingiusto e umiliante.
In tutti questi casi, in cui si sente minacciato da insicurezza, l’uomo esercita una rabbia reattiva, ossia reagisce per impulso, come per “difendersi”: si sente “aggredito” dalla freddezza della partner o dalle accuse, vere o presunte, che ella gli muove, sicché può reagire con furie improvvise, all’apparenza immotivate, perché lui stesso non è ben consapevole del movimento sotterraneo delle sue vergogne e delle sue paure.
In questo caso, la psicoterapia dovrà aggredire le strutture più antiche della memoria affettiva, nelle quali è depositata una storia di sfruttamento e di umiliazione (spesso difficile da ammettere, perché coinvolge persone un tempo amate). L’uomo interagisce con la partner come ha fatto, in passato, con la madre o il padre (malati ed esigenti), quindi si sottomette alla compagna, per poi scoprire che la sottomissione alimenta un rancore di cui non sa darsi alcuna spiegazione razionale. Oltre a ciò la psicoterapia dovrà analizzare e correggere le ideologie sociali che fanno di quest’uomo una persona ansiosa, ossessiva, insicura e il più delle volte con un basso di livello di autostima.
Una forma meno guaribile: il narcisismo manipolatorio maschile
In altri casi l’uomo è un narcisista manipolatore, ossia affetto da un narcisismo mimetico e opportunista, accompagnato da tratti sadici. Un narcisista manipolatore ha bisogno di un soggetto passivo, una vittima da ipnotizzare e poi ferire, in un’altalena da incubo, per ottenere la costante conferma della propria potenza e della propria “vincente” insensibilità.
In questo caso la violenza è intrinseca al carattere, non è impulsiva e reattiva, al contrario è fredda e meditata e non ha mai lo scopo di estorcere amore o stima, bensì di soggiogare e umiliare. Per ottenere la sua soddisfazione narcisistica l’uomo individua una donna fragile e insicura, con tratti masochistici, e la fa oggetto di una strategia di conquista che può durare mesi e anni. Altre volte sfrutta la donna innamorata e la sottopone a un dressage di illusione e delusione, di corteggiamento e sadico disprezzo, o semplicemente di continuo e umiliante maltrattamento. Non di rado, la donna è una persona altamente sensibile, che non ha appreso a difendere la sua permeabilità empatica, la sua tendenza all’altruismo e all’idealismo, che implica la negazione della crudeltà altrui. Altrettante volte è una donna intelligente e colta, ma un insidioso masochismo morale la spinge a cercare esperienze di umiliazione. Il narcisista ambisce alla donna sensibile, intelligente e masochista come a una preda particolarmente prelibata, perché tenerla sotto di sé significa sentirsi più forte, astuto, superiore, e aumentare a dismisura la potenza del proprio egocentrismo.
Chi adopera la violenza per acquisire potere di solito ha un temperamento iposensibile o del tutto insensibile. In questo caso, alcuni prevaricatori sono abili nell’uso di una violenza psicologica sottile e destabilizzante, intesa a sottomettere il partner demolendogli ogni forma di autostima e di coerente orientamento nel mondo. La vittima è indotta a sentirsi stupida, inadeguata, colpevole, malata, meritevole di essere trattata dal partner come un essere inferiore da accudire (con psicofarmaci, ricoveri o semplici punizioni). In questo tipo di dinamica, il prevaricatore fa in modo che l’azione demolitiva avvenga mantenendo per sé la maschera della persona sana, civile, persino amorevole. Egli riesce a farsi passare come il medico, lo psicologo e lo psichiatra della sua vittima. Come abbiamo detto, se è un intellettuale, o si picca di essere tale, il narcisista è sempre il perfetto “negazionista del narcisismo”. Per lui il narcisismo non esiste: è un invenzione degli psicologi: gli psicologi sono i veri manipolatori, che pontificano sull’esistenza del narcisismo con lo scopo di demolire la sana identità virile e attrarre le donne nelle loro reti manipolatorie. Insomma, in un beffardo rovesciamento sadico, lui è l’unico “vero psicologo”, gli altri, gli psicologi, sono soltanto dei pavidi manipolatori. Le amiche della vittima, poi, non sono nient’altro che “femministe senza ritegno”.
In tutti questi casi, caratterizzati dal piacere di sottomettere, l’esplosione di rabbia può raggiungere – per fortuna solo in situazioni estreme – il livello della violenza fisica e del delitto: la riduzione all’impotenza con la totale umiliazione o anche il ferimento o la morte della partner rappresentano allora il massimo del controllo maschile sulla donna: l’uomo punisce e “incorpora” in modo definitivo le velleità libertarie della partner. È intuibile che questo tipo caratteriale, collaterale alla perversione e alla delinquenza, è scarsamente curabile. Per almeno due motivi. Primo, il narcisista puro, egosintonico, non si sente affatto malato, quindi non arriva nemmeno nello studio dello psicoterapeuta. Secondo, se ci arriva è perché vi è stato spinto dalla partner, quindi con lo psicoterapeuta impegna ogni sua abilità per nascondere le sue macchinazioni.
La partner ha però un vantaggio da non trascurare. Dato il contesto sociologico insensibile e maschilista in cui si svolgono, le storie di violenza maschile sono il più delle volte visibili e persino esibite. Per quanto talvolta invisibili alla donna (quando è incline a idealizzare il partner) esse sono sempre percepibili da altri, se bene informati. Sono state pertanto studiate da specialisti e curiosi di ogni sorta. Ne consegue che le dinamiche che le contraddistinguono sono ormai di dominio pubblico, trasparenti e ben leggibili. È quindi più facile difendersene.
Una forma guaribile: la rabbia reattiva femminile
Meno visibili, ma non meno temibili, le violenze femminili sull’uomo.
Fra i vari tipi di violenza femminile, il più ambiguo e sfuggente è quello in cui la donna è, almeno in apparenza e per tendenza caratteriale, un soggetto devoto, passivo, talvolta masochista. La donna in questione appare, a prima vista, come una creatura innamorata e generosa, persino immolata alla più perfetta dedizione nei confronti del partner. Poi però rivela di colpo il suo lato oscuro.
In alcuni di questi casi, la donna ha una struttura di identità caratterizzata da una forte idealizzazione della figura maschile, non di rado legata a un genitore ammirato o temuto in qualche suo aspetto e all’altro genitore poco presente e significativo o anche disprezzato e odiato.
L’idealizzazione primaria del genitore oppressivo è stata conservata a un punto tale che essa viene replicata nei rapporti affettivi (o anche solo sessuali) adulti; sicché la donna con tale struttura di personalità è sempre impegnata in una ineluttabile ricerca dell’uomo idealizzato come “forte”, quindi ricco e prestigioso su un piano sociale, oppure, quando non possieda queste caratteristiche, bello, freddo e distaccato, oppure duro e poco sensibile, o anche insensibile e brutale. Altre volte l’uomo è avvertito come “forte” in quanto ha già una compagna, dei figli, una rete sociale acquisita, quindi si pone verso l’amante da una posizione più sicura, di maggior resistenza, quindi appunto di forza.
Tuttavia, per quanto idealizzato, è inevitabile che l’uomo prima o poi compia atti di gestione del rapporto disattenti o anche prepotenti, atti che la donna interpreta allora come rivelatori di un carattere insensibile ed egoista che essendo stato nascosto le si palesa ora come ingannevole, quindi perverso. A questo punto scatta nella donna una rabbia reattiva ribelle, giustificata dalla certezza di essere stata “ingannata” e trattata da “serva” e da “suddita”. Umiliata dalla lunga soggezione, la donna si sente ora autorizzata a interpretare univocamente i comportamenti del partner come attestanti la sua disonestà e violenza, quindi a indagarlo di nascosto per le sue colpe (vere o presunte) per poi attaccarlo in modo aperto e diretto. Spesso la donna manifesta la rabbia in forma di attacchi privi di controllo, altre volte in una tendenza incoercibile e continua alla lamentazione e al conflitto, altre volte ancora viene posticipata nell’esecuzione e così trasformata in una vendetta meditata e implacabile. In questi casi, la donna può raggiungere livelli di perfidia tanto più sconcertanti in quanto da lei percepiti come “giusti”. In taluni casi, non rari, la partner – che spergiurava solo poco tempo prima di amarlo alla follia – costringe il partner traditore nella disperazione, inducendogli angoscia da senso di colpa e ricatto affettivo, riuscendo a sconvolgerlo tanto da estorcergli contrizione, denaro e talvolta spingerlo al suicidio.
Dopo l’evento aggressivo, tuttavia, la donna, se non è resa insensibile da un implacabile bisogno di vendetta, può incorrere anche lei nei sensi di colpa. Può allora soffrire sul piano morale e può sentirsi rifiutata con ragione; sicché a questo punto prega di essere perdonata, oppure si provoca un incidente e si fa del male.
Ne consegue che finché non abbia appreso a gestire questi attacchi di rabbia – che può rivolgere non solo al partner, ma a tutti coloro che le vogliono bene e intendono aiutarla: parenti, amici, psicoterapeuti – la donna è condannata all’inferno della ripetizione, dell’eterno ritorno dell’identico: dinamiche che si ripetono senza requie, come la pena di Sisifo, in un ciclo continuo e autodistruttivo; perché un messaggio non capito, un messaggio senza un ricevente, si ripete senza fine, trasformandosi in un’ossessione.
L’oscillazione frequente verso l’angoscia, la vergogna, il senso di colpa e la depressione, fanno di questa donna una paziente comprensibile e curabile. In psicoterapia la gestione di questa parte conflittuale necessita che la paziente sia consapevole di ospitare dentro di sé un’aspirazione mimetizzata alla forza, che lei nega e non riesce a riconoscere come la sua motivazione di base. La funzione dello psicoterapeuta è allora quella di porgerle uno specchio e di aiutarla a gestire le emozioni che può vedervi riflesse. Preda di un’angoscia sconfinata e di una rabbia divorante ella può trovare conforto solo in una figura esterna, come appunto uno psicoterapeuta empatico e competente. Senza l’ausilio esterno, questo tipo di donna è preda di dinamiche interne senza fine.
La dipendente affettiva rabbiosa ha terrore di riconoscersi legata dall’amore, quindi fa di tutto per renderlo impossibile. Ma, poiché è accecata dall’idea di essere innocente e di desiderare nient’altro che l’amore, non riesce a vedere in quanti e quali modi riesca a rendersi insopportabile, temibile e di fatto pericolosa.
In psicoterapia questa rabbia difensiva può prendere a oggetto il terapeuta, uomo o donna che sia, fino a provare la chiusura del rapporto. La donna con questa struttura caratteriale dovrebbe dunque fare attenzione ai suoi attacchi di rabbia; perché è soprattutto nella buona gestione dei sentimenti ostili – più o meno arbitrari – che si gioca la partita della salute.
Una forma meno guaribile: La donna brutale e l’uomo masochista
Altre volte – e non sono rare, anche se poco narrate dalla letteratura clinica e dai media – la donna ha un carattere brutale con più o meno evidenti tratti sadici. In questo caso, ella ha ben presenti la sua prepotenza e la sua distruttività e le usa con fredda determinazione. Non ne viene sorpresa come da un’irruzione improvvisa (come accade alla donna masochista che alberga una rabbia inconscia); al contrario, la sua violenza è calcolata e messa in atto col preciso scopo di soggiogare l’uomo. Il partner di questa donna è di solito un individuo molto insicuro e dipendente, che vede nella violenza della donna un’espressione ammirevole e persino affidabile di forza caratteriale e perciò se ne lascia dominare; oppure è un masochista che trae un senso di sollievo nel placare con la sua sottomissione la violenza femminile, incatenato a un copione scritto nel suo inconscio.
Non è raro che, in questi casi, la donna abbia caratteristiche sgradevoli o francamente brutte non solo su un piano mentale ma anche fisico, caratteristiche che tuttavia il masochista, accecato dall’idealizzazione, arriva a percepire come oggettivamente belle e invidiate dagli altri uomini.
In questo caso, la donna è affetta da una psicopatia delinquenziale o da una sindrome borderline grave, con rapidi mutamenti dalla depressione cupa alla esaltazione maniacale. In entrambi i casi, si tratta di una tipologia con poche possibilità di guarigione; la terapia dovrebbe essere mirata a produrre ciò che lei evita e nega grazie all’insensibilità: la coscienza di colpa.
Non di meno, talvolta è possibile che l’uomo si renda conto di essere malato. Si tratta di una consapevolezza molto dolorosa perché gli rivela la sua natura masochista, di cui l’uomo, di solito, si vergogna profondamente e che spesso copre un velo depressivo. Se accetta di fare una psicoterapia, l’uomo affetto da masochismo dovrebbe essere reso consapevole di ripetere il copione della sua totale soggezione a una donna potente (un succedaneo di una “madre fallica”) e del sollievo ottenuto dalla sottomissione. Una dinamica che di fatto lo danneggia e gli impedisce di attingere alle sue piene potenzialità umane.
Bibliografia dell’autore
Nicola Ghezzani, Volersi male, FrancoAngeli, Milano, 2002.
Nicola Ghezzani, Quando l’amore è una schiavitù, FrancoAngeli, Milano, 2006.
Nicola Ghezzani, La paura di amare, FrancoAngeli, Milano, 2012.
Nicola Ghezzani, L’ombra di Narciso, Franco Angeli, Milano, 2017.
Nicola Ghezzani, Relazioni crudeli, FrancoAngeli, Milano, 2019.