Dipendenza affettiva, depressione, masochismo

La dipendenza affettiva depressiva

 

araki-viaggio_sentimentale-1-grandeNel mio libro L’amore impossibile ho distinto quattro diversi tipi di dipendenza affettiva, eccoli. 

1) La dipendenza conformista, tipica della persona ingenua che si muove secondo un copione tradizionale e ne resta intrappolata e delusa: una donna o un uomo piuttosto ingenui, poco esperti della vita sentimentale, che incontrano e s’infatuano di un partner egoista e restano turbati, mortificati, delusi da un andamento della relazione freddo e anaffettivo, se ne colpevolizzano e tormentano.

2) La dipendenza rivendicativa aggressiva, nella quale il dipendente si sente ingannato dal partner e ne è geloso e offeso e lo accusa incessantemente per poi pentirsi e tornare timoroso e devoto. Il ciclo di mortificazione, rabbia e pentimento può ripetersi – virtualmente – all’infinito.  

3) La dipendenza depressiva riparativa, nella quale il dipendente si sente indegno dell’amore del partner desiderato e ne soffre fino allo sfinimento. Un’immagine intera negativa, dovuta a una storia personale mortificante, o all’interazione violenta, lo porta a pensarsi indegno di amore e forse anche della vita stessa. 

 4) E infine la dipendenza rivendicativa persecutoria, nella quale il dipendente si scopre pieno di rancore accumulato e di un odio cieco e totale e attacca il partner che lo ha ingannato o semplicemente rifiutato, fino a desiderarne la rovina o la morte. In questo caso, la vecchia passione è interamente mutata in odio vendicativo, e il vecchio dipendente è ormai in procinto di diventare un persecutore. 

Fra queste quattro tipologie la più struggente e dolorosa è la terza: quella che ho chiamato dipendenza depressiva riparativa. 

Amore sano, amore malato

Immaginiamo che ne sia vittima una donna (come peraltro accade spesso). Questa donna è innamorata di un uomo del tutto sbagliato. Costui è l’uomo sbagliato per due motivi: egli trascura la donna e la trascura perché di fatto non è innamorato e dell’amore di lei non vuole saperne nulla; oppure perché, non essendo innamorato, la utilizza per suoi fini narcisistici. In questo secondo caso, anche questo non raro, l’uomo sfrutta la donna innamorata per ottenerne piacere sessuale e soddisfazioni narcisistiche; ma se è molto cinico la sfrutta anche su un piano di vantaggi materiali ed economici; infine, se per di più è un narcisista patologico, la sottopone a umiliazioni e maltrattamenti sadici per il solo gusto di oggettivare in lei la debolezza (di cui lui ha orrore) e di farne pertanto una vittima da usare a suo piacimento. 

Non di meno, la donna resta innamorata e lamenta giorno e notte la sua struggente condizione di donna innamorata di un uomo che la ignora e la maltratta. In questi casi, la dipendenza si colora di una cupa e vibrante tonalità depressiva, talvolta tragica. La dipendente affettiva con tendenze depressive si attribuisce mille difetti: pensa di non essere abbastanza bella, giovane, femminile, brillante o magari ricca. Oppure si lamenta di lui, lo descrive come un mostro, ma si dichiara troppo innamorata per anche soltanto osare immaginare che lei possa ribellarsi a lui e lui possa lasciarla. Sperimenta allora un senso di vuoto agghiacciante e una debolezza infinita, e non di rado sviluppa fantasie di morte. 

E’ chiaro che il suo innamoramento non è sano. Anzi, in senso proprio, non è un innamoramento, è piuttosto un bisogno narcisistico di riempire il vuoto primario, e allo stesso tempo una compulsione emotiva a identificare l’amore con il masochismo. 

Un innamoramento sano presuppone una sola possibilità: la donna dovrebbe prendere atto che l’uomo non la ama e rinunciare al proprio desiderio. Se la donna, se pure innamorata di un narcisista, è una donna sana, è in grado di operare questa rinuncia, perché il vuoto della perdita del suo investimento affettivo è compensato da 

1) una salda autostima; 

2) relazioni affettive (anche non erotiche) sostitutive; 

3) una prospettiva futura ottimista o quanto meno serena. 

E’ evidente, quindi, che la donna che non riesce a separarsi da un uomo che non la ama è una donna che manca di autostima, di un’affettività sana e quindi di relazioni alternative valide e, infine, di una visione serena del proprio futuro affettivo. Quindi, ogni suo innamoramento è in realtà una infatuazione erotico-affettiva nella quale agisce sulla base di una spinta compulsiva a riempire il vuoto e a nutrire il proprio masochismo identificando l’amore con la sofferenza. 

L’immagine interna negativa

oszvald-donna_divisa-grandeIl più delle volte, il vuoto interiore – che l’attrazione per l’uomo copre senza risolvere – dipende da precisi fattori psicodinamici. Dipende da 

1) rifiuti e abbandoni interiorizzati, relativi alle prime relazioni affettive; 

2) un sentimento di indegnità sorto da antiche relazioni conflittuali o da una persistente e attuale tendenza al conflitto; 

3) da un devastante sentimento di condanna alla solitudine. 

Si tratta di fattori che hanno precipitato al cuore della soggettività dipendente quella che io chiamo una immagine interna negativa. Si tratta di un’immagine interiore di cui il soggetto è più o meno cosciente, ma che determina ogni suo atto. 

Colui che ha un’immagine interna negativa ha una bassa autostima, con tendenze all’autolesionismo morale. La conseguenza più tangibile dell’immagine interna negativa è di carattere relazionale: l’individuo che ne è tormentato innanzitutto evita di stare da solo, perché in solitudine è braccato dai giudizi negativi che dà di se stesso. Se li sfugge con la distrazione e l’azione, si sente ansioso, ipercinetico e nervoso; se invece non riesce a sfuggire loro e  ne è aggredito, si sente triste e desolato, o è assalito da un devastante sentimento di vuoto. 

Di conseguenza, più sente quella desolazione e quel vuoto, più va in cerca di relazioni, affettive, sessuali e sociali. Ma si tratta di una ricerca compulsiva, come quella del condannato a morte che mangia con ansiosa voracità il suo ultimo pasto. Qualunque relazione sociale, soprattutto quelle fatue e superficiali, e qualunque relazione d’amore, soprattutto quelle confuse e promiscue o quelle intense e tormentate, agisce come una droga che risolve l’angoscia di essere intrinsecamente negativi e di non valere nulla solo per un breve lasso di tempo, dopo di ché si è di nuovo preda dell’angoscia. 

La donna dipendente che si dice innamorata è in realtà vittima di questo sentimento angoscioso di negatività e di vuoto, e l’uomo da cui è attratta rappresenta per lei l’ultima spiaggia o la droga anestetica che le evita di pensare con angoscia a se stessa. Più pensa a lui, alla sua volontà, al suo desiderio, all’opinione che ha di lei, ai suoi eventuali tradimenti, meno pensa a se stessa: il pensiero di sé sarebbe troppo doloroso, un dolore così acuto e temibile da non essere pensabile. 

A questo punto l’uomo è diventato la controparte ossessiva del suo delirio depressivo: se lui c’è, la donna sopravvive all’assalto della malinconia; appena lui scompare, lei comincia ad essere nervosa, a muoversi in modo inconsulto, a immaginarlo lontano da lei e libero di umiliarla. L’altro è ormai un persecutore, un padrone sadico che dispone del destino di lei. 

Questa immagine dell’uomo – mostruosa e salvifica allo stesso tempo – è attiva sia che lui sia davvero un persecutore, sia che non lo sia affatto: la donna che ospita in se stessa un’immagine interna negativa ospita nella sua psiche anche la parte complementare: l’uomo maltrattante o persecutore. L’uno è la faccia rovesciata dell’altra: due facce di una stessa medaglia. 

Una nota sul presunto amore

Nelle storie di dipendenza affettiva non si dovrebbe mai parlare di amore, bensì di attaccamento ansioso e ambivalente. 

Ci sono persone che hanno un’angoscia di inadeguatezza – quindi un’immagine interna negativa – intrinseca alla loro personalità, e altre invece nelle quali questa angoscia viene indotta dai comportamenti ambivalenti e/o persecutori del partner. 

In tutti questi casi è profondamente sbagliato parlare di amore: l’attaccamento al partner non ha raggiunto il livello dell’amore maturo, perché è rimasto fermo nella fase ansiosa della ricerca della conferma e lì si è consolidato e strutturato. 

Più propriamente dovremmo parlare di attaccamento dovuto all’angoscia di abbandono e all’angoscia di perdita. Più intensa è quest’angoscia più si ha bisogno di conferme e, quando non se ne hanno, l’angoscia cresce a dismisura e si è disposti a tutto pur di ricevere un giudizio positivo anche effimero e illusorio, che salvi dal terrore di perdere il partner, di essere rifiutati e di sentirsi precipitare nella propria insignificanza. 

Da questo momento, la relazione ruota intorno all’angoscia di negatività, che solo il partner, divenuto un giudice, può attenuare. Quando poi la conferma arriva, per un qualunque incontro sessuale o perché lui accetta una cena, un regalo, magari del denaro, il sentimento di sollievo che ne deriva viene sistematicamente confuso con l’amore. 

La psicoterapia

patel-1-grandeNel caso della tipologia di dipendenza appena descritta, la psicoterapia è uno strumento necessario. Essa dovrà porsi alcuni compiti essenziali. 

1) Innanzitutto dovrà demistificare il sentimento che la donna prova nei confronti del suo oggetto desiderato, sentimento che non è amore, ma compulsione riparativa alla dipendenza e alla sottomissione: un vero e proprio bisogno tossicomanico di una relazione compensativa che le consenta di occultare la latente depressione.

2) In secondo luogo, dovrà fornire alla donna mezzi di difesa ogni qual volta la dipendenza si rifaccia viva, spogliandola dai suoi veli di illusione e mostrandola nella sua nuda realtà di dipendenza masochista e autolesionista. 

3) Quindi, dovrà analizzare le dinamiche attuali che rivitalizzano il nucleo patogeno dell’immagine interna negativa. Ossia, l’insensibilità o il maltrattamento da parte del partner considerati rivelatori della propria intrinseca negatività (angoscia di inadeguatezza, auto-colpevolizzazione); sensi di colpa per le reazioni di protesta; sensi di colpa per eventuali trasgressioni vendicative.   

4) Quarto punto, dovrà fare l’analisi accurata della natura di questa immagine interna. Come è nata, come si è strutturata, su quali valori e disvalori, come smontarla. 

5) Infine, in una fase ulteriore, dovrà trasformare l’immagine interna da negativa in positiva, proiettando la paziente su un nuovo orizzonte esistenziale. 

Come è intuibile, si tratta di un lavoro impegnativo, ma necessario. Senza di esso la donna può scivolare in una depressione acuta, oppure animarsi di un odio cieco e virare verso la persecuzione attiva del partner, accettando una sfida che non potrà vincere; o ancora diventare promiscua, per soffocare nella droga erotica il sentimento di fallimento esistenziale; o infine cedere ad altre forme di dipendenza (da cibo, da shopping compulsivo, da sport estremi, da psicofarmaci o alcol…). 

Si tratta di un lavoro impegnativo, come dicevo; ma il più delle volte di successo. Nella mia esperienza almeno l’ottanta percento dei casi da me analizzati hanno avuto un decorso positivo. Sempre che la donna sviluppi la capacità di relativizzare il suo sentimento, di vedere di quante illusioni è stata vittima e di accrescere la propria autostima. 

Infine, se ben condotta, la psicoterapia sarà in grado di mostrare al paziente le sue qualità positive, ponendo termine all’azione dell’immagine interna negativa. Non è raro il caso in cui, a terapia avanzata, il paziente sprigioni attitudini affettive e intellettive nuove, che erano state avvilite e limitate dalla vecchia struttura di personalità. 

Nicola Ghezzani

Psicologo clinico, psicoterapeuta

formatore alla psicoterapia

Contattalo con un messaggio su WhatsApp al 333 999 4797

o per e-mail: nic.ghezzani@gmail.com

Indirizzo Skype: nicola.ghezzani.psicologo