DSA e abuso diagnostico
Una bambina altamente sensibile
Vi racconto una storia.
Un pomeriggio di alcune settimane fa, squilla il cellulare di una mamma. È la scuola; le parla una voce maschile. Le viene detto che la figlia, una bambina di 12 anni, ha un DSA, un Disturbo Specifico di Apprendimento. Il consiglio di classe si è espresso in questi termini; quindi la famiglia è invitata a prendere provvedimenti. «Che cosa possiamo fare?», chiede la madre piuttosto preoccupata. Le viene risposto: «Dovrebbe rivolgersi a un neuropsichiatra». Così. Sic et simpliciter.
Purtroppo la bambina, allarmata dalla voce ansiosa della madre, si era messa in ascolto. Finita la telefonata, investe la madre con la sua angoscia. La madre chiama il marito e ne parlano tutti insieme con calma, ma in realtà sono in ansia anche loro. Questo DSA sarà un disturbo grave? A chi chiedere informazioni?
La zia è un medico, che conosco bene. Una donna ipersensibile, intelligentissima, con una mente complessa e profonda, nonché molto stimata sul posto di lavoro. Coinvolta dai genitori, capisce subito il problema, prende da parte la bambina e le dice: «Non preoccuparti, da oggi ti seguo io e vedrai che figurone che faremo!». Ma la bambina piange, non vuole toccare più i libri, dice «Mi hanno detto che sono malata». Si è dunque creato un problema e la zia me ne parla.
Io e la zia, in un dialogo a due, conveniamo che la diagnosi di DSA è molto equivoca. La dizione “Disturbo Specifico di Apprendimento” fa pensare, in effetti, ad una malattia neurologica, quindi il suo uso sconsiderato può gettare nel panico una famiglia e creare uno stigma alla bambina. Male hanno fatto le autorità scolastiche ad avallarla senza la visita di uno specialista. Male fanno le autorità scolastiche a usarla senza una approfondita discussione del concetto.
La zia mi dice che la bambina è ipersensibile e un po’ introversa. Quando non capisce una lezione, in classe, non fa come gli altri bambini, che corrono a chiedere; ma fa finta di niente. Anche perché alcuni docenti più anziani tendono a prendere in giro i bambini che non capiscono. Al contrario, quando fa lezione con un’insegnante giovane e sensibile, la bambina apprende grazie ad un’immediata intuizione, come fa anche con lei, con la zia. Dunque sembra essere una bambina dotata, ma introversa, e comunque intimidita dall’ambiente.
Dico alla zia di raccontare alla bambina (per evitare che il trauma si consolidi) che la diagnosi fatta è solo un’istantanea approssimativa e confusa, che fotografa una fase di incomprensione da parte dei professori e di poco studio da parte sua, ma che può essere adoperata come stimolo per dare fondo alle grandi potenzialità inespresse di cui dispone. La zia concorda e si dispone ad agire in questo senso.
Quanto accaduto alla bambina e alla sua famiglia è un evidente episodio di abuso diagnostico, che poteva provocare una stigmatizzazione, un trauma e un danno allo sviluppo intellettivo e sociale di un minore. Sono cose che non dovrebbero accadere. Sono convinto che se si fossero applicati i test giusti ai docenti preposti e alle autorità che hanno ratificato le conclusioni avremmo scoperto che si tratta di individui iposensibili chiamati a giudicare una bambina ipersensibile e introversa, altamente dotata, ma lasciata in disparte e del tutto incompresa.
Esiste da anni, e ne parlo nel mio libro Il dramma delle persone sensibili, la categoria dell’”Iperdotato con sottorendimento”, un bambino molto intelligente, che si nasconde dietro una mimesi di ingenuità caratteriale e persino di ritardo mentale.
Attenzione, dunque, a fare un uso improvvido di diagnosi neuropsichiatriche, soprattutto quando siamo di fronte a bambini, le cui risorse sono spesso nascoste e equivocabili.
La categoria degli individui altamente sensibili (PAS) e iperfunzionali (IF) dovrebbe essere più cosciente di se stessa, per non subire e non far subire ai propri figli trattamenti pericolosi come questo che ho appena descritto.
Della necessità dell’auto-riconoscimento di PAS e IF parlo anche nella seconda parte del libro La mente distopica.
Abuso diagnostico, un epilogo
Qualche settimana fa ho raccontato la vicenda della bambina di 12 anni cui era stata data la diagnosi di DSA (Disturbo Specifico di Apprendimento) non da uno specialista ma dal consiglio di classe, scatenando il panico della madre e in lei un pesante avvilimento. Qualcuno dei lettori ha dubitato della veridicità del racconto, accampando l’argomentazione – ottimistica e legalista – che la legge non lo consente. Ma nessuna legge, anche buona, garantisce della perfezione morale delle persone; quindi può essere sempre aggirata. Accade soprattutto quando gli operatori sono stanchi e frustrati e alla loro frustrazione si offre un soggetto debole, passivo e incapace di protestare: una madre apprensiva e una bambina di 12 anni. Altri lettori hanno confermato la possibile veridicità del racconto, essendo stati testimoni di eventi simili accaduti a loro o in loro presenza.
Il seguito della vicenda è questo. La bambina è stata seguita dalla zia medico, una donna che pur impegnatissima nel suo lavoro ha trovato qualche mezzora da dedicarle. Ma la figura risolutrice è stata, infine, una compagna di scuola, della stessa età, con cui ha fatto i compiti ogni giorno per alcune settimane. Risultato: Italiano da 5 a 8, matematica da 4 a 7 ½.
Tutti felici e dalla scuola nessuno ha più fatto menzione della diagnosi di DSA.
Nondimeno il fatto è accaduto e segnala, a mio avviso, una serie di tristi realtà. La prima è che, perlopiù, si considera ancora il bambino un vaso vuoto da riempire. Non si valuta che l’evoluzione della specie umana ha mirato a produrre bambini sensibili e versatili, non perché gli adulti li “formassero”, come l’argilla, ma perché li aiutassero a definire e sviluppare il proprio potenziale. Aiutare a definire e sviluppare il potenziale di un individuo significa porsi in empatia e capirne le difficoltà, rimandandole innanzitutto all’analisi del contesto.
La seconda triste realtà è che la società attuale non è ancora consapevole della neuro-divergenza e del fatto che esistono Persone Altamente Sensibili Iperfunzionali. Cosa sono? Come ho detto, ho dedicato loro il libro Il dramma delle persone sensibili, nel quale spiego che le differenze neuropsicologiche hanno perlopiù una base genetica e, senza essere affatto malattie o deficit, sono viceversa caratterizzate da raffinate e delicate qualità, e possono essere pertanto funzionali all’alta definizione dell’individuo, alla crescita del gruppo cui appartiene e infine alla stessa evoluzione della specie.
La terza triste realtà è che il mondo è rovesciato e, mentre si impegnano cifre spaventose per il potenziamento delle forze armate e per stipendi dirigenziali da capogiro, la sanità pubblica non presuppone la figura dello psicologo di base da affiancare a quella del medico di base (spesso in burnout proprio per le smodate richieste psicologiche dei loro pazienti) e la scuola non ha perlopiù la possibilità di assumere lo psicologo scolastico, che dovrebbe appunto occuparsi non solo dei bambini in se stessi, ma anche del complesso rapporto fra bambini e docenti.
La bambina sta sempre meglio, recupera le sue insufficienze nelle varie materie sia grazie alla zia che allo studio fra pari. Ma soprattutto è meno intimorita e più fiduciosa, e crede nelle sue capacità intellettuali.
D’altra parte, via via che sta meglio, lascia emergere le emozioni che erano state represse finché riteneva di essere stupida e in difetto. Scrollatosi di dosso lo stigma, è emersa un’intensa rabbia verso i professori. Tutto ciò mi viene riferito dalla zia, che mi chiede consiglio. La rabbia è giustificata, pensiamo entrambi, perché la classe docente ha scaricato sulla bambina le proprie frustrazioni e ha agito nella totale ignoranza che il bambino non è al servizio delle nozioni che dovrà apprendere, ma che quelle nozioni – quindi gli stessi insegnanti che le trasmettono – sono al servizio della sua crescita spirituale, come individuo organicamente integrato in un insieme di individui (adulti e coetanei) solidali. E tuttavia quella rabbia va superata e trascesa. In che modo? Sviluppando una nuova consapevolezza di sé. Via via che acquisirà le competenze, sia scolastiche che intellettuali, la bambina svilupperà altresì una crescente autostima, quindi una serena capacità di giudizio.
Pochi giorni fa la bambina ha chiesto alla zia: «Zia, è difficile studiare psicologia?» la zia ha replicato: «A scuola?». «No», ha risposto lei, «da grande. Fare la psicologa». Si è a tal punto appassionata della sua evoluzione mentale, così sorprendente in quei pochi mesi, che ha pensato che potesse essere giusto e generoso aiutare altri a fare lo stesso percorso.
Decisamente una bambina dotata!
Bibliografia dell’autore
Ghezzani N., Il dramma delle persone sensibili, FrancoAngeli, Milano 2021.
Ghezzani N., La mente distopica, FrancoAngeli, Milano 2022.
Bibliografia suggerita
Aron E. (2002), Il bambino altamente sensibile, Mondadori Milano.
Illich I. (1979), Descolarizzare la società, Mimesis, Milano 2019.