La mente distopica
Alta sensibilità e derealizzazione
Eccessi della psichiatria
Quando ho scritto il libro “La mente distopica” (2022) sapevo di toccare un nervo scoperto della cultura e della società contemporanee. Non solo perché il disturbo dissociativo è, in realtà, poco conosciuto e non sempre ben gestito; ma anche perché mettevo in discussione l’impianto psicopatologico tradizionale.
Il disturbo dissociativo viene di solito riferito alla presenza di gravi traumi, memorizzati nella memoria conscia o inconscia. Questa interpretazione, decisamente riduttiva, deriva dal fatto che l’impostazione di molte psicoterapie contemporanee è tributaria della psichiatria americana. La descrizione dei vari DSM non lascia adito a dubbi: secondo i manuali americani, il disturbo è basato su traumi più o meno inconsci e colpisce una percentuale fissa della popolazione (il 10-15%). Questo riduzionismo ha una causa precisa. Negli USA il PTDS (il Disturbo da Stress Post Traumatico) è venuto alla luce grazie alle testimonianze degli ex veterani di guerra, che laggiù sono numerosi e conservano memorie di episodi terribili, in forte contraddizione con il loro codice morale.
Ebbene, in questi soggetti il Disturbo da Stress Post Traumatico si caratterizza come un disturbo dissociativo tipico. Il che è ovvio: memorie insopportabili vengono allontanate dalla coscienza attraverso una dissociazione che attenua l’impatto emotivo immediato, ma al prezzo di sregolare la mente. Infatti, a seguito della dissociazione, il ricordo doloroso viene rivissuto come in un film, di cui il soggetto è un mero spettatore (derealizzazione); talvolta viene relegato nell’inconscio e si ripresenta solo in incubi o in visioni improvvise o in virtù di triggers che riattivano l’esperienza passata.
Grazie alla dissociazione il trauma appare attenuato; ma la sua pericolosità permane. Infatti l’anestesia emotiva che lo copre altera la coscienza e, se relegato nell’inconscio, disturba e frammenta le funzioni dell’Io.
Allo stesso modo, infatti, il grave abuso sessuale infantile o l’aver assistito a episodi di violenza scioccante può indurre non solo amnesie, ma anche stati dissociati dell’identità (le cosiddette “personalità multiple”), in verità molto più rari di quanto raccontato dalla psichiatria americana e dalla cinematografia di Hollywood. Quest’origine traumatica, di origine bellica o da abuso sessuale, rilevata dalla psichiatria americana, e arbitrariamente estesa a tutte le psicopatologie ha impedito un’interpretazione più analitica delle sindromi dissociative.
Un diverso punto di vista
Ciò che la psichiatria americana e le psicoterapie che vi si ispirano non riescono a vedere, e che quindi è stato trascurato, è che non sono traumatici soltanto gli episodi bellici e gli abusi sessuali infantili o adolescenziali, perché l’intera realtà quotidiana può essere traumatica.
Ovviamente, parlare di episodi traumatici specifici significa mettersi nei tranquilli parametri di un canone medico. In quest’ottica, il paziente ha subito un danno, cui corrisponde un cattivo funzionamento della mente. L’interpretazione del sintomo viene data all’interno di un paradigma che vede nel disturbo nulla più che un “minus”: un deficit di organizzazione funzionale. Il paziente, in fondo, è solo un malato; funziona meno bene di una persona “normale”, quindi non ha nulla da dire del nostro mondo, del mondo di tutti.
Nella mia personale esperienza sono arrivato a conclusioni opposte. Dal mio punto di vista, l’80-90% delle persone che mi chiedono una psicoterapia sono individui iperfunzionali (o, come li definisce la psicologia americana, Persona Altamente Sensibili). Si tratta di persone che presentano sempre un “plus” di funzionamento mentale, mai un “minus”, neanche quando la patologia è severa. Secondo le mie osservazioni cliniche e i miei studi, questo tipo di persone non ha solo una spiccata sensibilità percettiva (uditiva, visuale o tattile, che è presente anche negli Asperger); ha soprattutto un’alta empatia e un’alta sensibilità morale.
Qual è il motivo di questa strana e inquietante correlazione fra alte doti emotive e morali e disturbi psicologici?
Ebbene, alta empatia e alta sensibilità morale sono tratti molto a rischio: come ho scritto nel libro “Il dramma delle persone sensibili” (2021), l’individuo iperfunzionale sente con empatia le dinamiche fra le persone, intuisce le loro motivazioni, sente con dolore le ingiustizie, gli inganni, le prepotenze, la mancanza di empatia e di calore umano nel mondo sociale circostante. Un bambino ipersensibile e iperfunzionale che assiste a eventi di prepotenza di un genitore su un altro; un altro che viene a sapere di un amico tormentato da una banda di bulli; un bambino che si sente oggetto di pressione normativa da parte di una famiglia formalista, che pretende una bella figura sociale e elevate prestazioni scolastiche; una bambina che si sente abusata da una madre che porta in casa i suo amanti ecc. ciascuno di questi soggetti è immerso in una rete diffusa di microtraumi che alimentano in lui dolore, sconcerto e rabbia. L’emozione negativa deve a un certo punto essere controllata, diversamente il bambino si scompensa. Ecco allora la necessità di un sintomo che controlli l’emozione.
In questi e altri cento casi di questo tipo, l’alta sensibilità disadatta il bambino e l’adulto che nascerà da lui, generando conflitti interni e psicopatologia. Ogni singola esperienza di distonia morale individuo-ambiente costituisce di fatto un microtrauma, che struttura una certa percezione della vita, basata sempre più su allarme, timore, rifiuto, ritiro.
Il persistere e l’emergere di questi innumerevoli microtraumi è dunque traumatico quanto un episodio di guerra o un abuso e sollecita risposte difensive identiche.
La derealizzazione e la depersonalizzazione sono dinamiche dissociative, che possono insorgere in risposta a microtraumi protratti, presenti nelle dinamiche interpersonali, sia quelle primarie coi genitori e altri caregivers, sia quelle micro e macrosociali.
Oggi più che mai è evidente che un disturbo psicologico può nascere come risposta a realtà sociali traumatiche, quali pandemia, guerra, crisi climatica, depauperamento economico, perdita di orizzonti valoriali e di prospettive future, quindi da una apatica demotivazione che può essere facilmente scambiata per depressione. Tutto ciò in aggiunta agli eventi distonici che si verificano tanto spesso nelle famiglie: conflitti genitoriali, rivalità familiari, trattamenti differenziali fra i figli, pressione performativa, educazione restrittiva ecc.
Nel libro “La mente distopica” sottolineo, da ultimo, che il sintomo ha sempre non soltanto una funzione soggettiva, ma anche una funzione oggettiva o per meglio dire storico-sociale. Faccio un esempio: l’isteria (osservata e studiata fra la fine del Settecento e gli inizi del Novecento) ci ha rivelato il disagio femminile in una società (europea) potentemente bellicista, maschilista e misogina. Ce lo ha rivelato attraverso il velo distorsivo dei sintomi psicosomatici.
Oggi derealizzazione e depersonalizzazione mostrano la crisi del soggetto moderno di fronte a una realtà sempre più ingannevole, perturbante e priva di orizzonti di senso.
Bibliografia dell’autore
Ghezzani N., La vita è un sogno, FrancoAngeli, Milano, 2020.
Ghezzani N., Il dramma delle persone sensibili, FrancoAngeli, 2021.
Ghezzani N., La mente distopica, FrancoAngeli, Milano, 2022.