Una versione da Federico García Lorca
La versione che segue data 1981 ed è una traduzione libera da Federico Garcia Lorca che pubblicai nel 1982 in un libretto edito dalla piccola casa editrice Il Bagatto. Il libretto era intitolato Qanan. Qanàn è la pronuncia ebraica di Canaan, la terra promessa. Il libretto era una raccolta di poesie a conclusione della quale volli porre questo sonetto di Lorca, perché si prestava a fare una sintesi perfetta della mia giovanile concezione dell’amore. Chiunque conosca un po’ di spagnolo si accorgerà che si tratta di una versione libera, quindi adatta a esprimere il mio stato d’animo di quegli anni.
Domanda: può uno psicoterapeuta essere anche un poeta? Direi di sì, e senza imbarazzo. Nella misura in cui la poesia è una sonda che aiuta a svelare profondità che l’osservazione scientifica, ossia neutra, non sempre schiude. Ci sono porte che si aprono solo a quella mano che sa sfiorarle.
In questo senso la poesia è strumento di indagine; aiuta la psicopatognosia e quindi la psicopatologia: la conoscenza delle passioni della psiche e il discorso su di esse.
Ripubblico questa poesia per farla leggere agli amici via Web.
Il poeta chiede al suo amore che gli scriva
Amor dei miei visceri e viva morte
invano attendo che tu mi scriva
e penso, col fiore che marcisce,
che senza me vivo se tu sei schiva.
Non ha mai pace il vento né conosce
ombra l’inerte pietra, nessuna.
Bocca interiore non è assetata
del freddo miele che versa la luna.
Mi graffio le vene mi strappo i capelli
tigre e colomba sulla tua cintura
sui gigli e i morsi dei nostri duelli!
Di parole colma la mia paura
o lascia ch’io viva la quieta notte
dell’anima mia per sempre oscura.
El poeta pide a su amor que le escriba
Amor de mis entrañas, viva muerte,
en vano espero tu palabra escrita
y pienso, con la flor que se marchita,
que si vivo sin mí quiero perderte.
El aire es inmortal. La piedra inerte
ni conoce la sombra ni la evita.
Corazón interior no necesita
la miel helada que la luna vierte.
Pero yo te sufrí. Rasgué mis venas,
tigre y paloma, sobre tu cintura
en duelo de mordiscos y azucenas.
Llena pues de palabras mi locura
o déjame vivir en mi serena
noche del alma para siempre oscura.