Intervista sull’amore
di Francesca Redolfi, per la rivista «Il Cenacolo»
Francesca Redolfi: All’inizio del suo libro porta alcuni esempi storici di storie d’amore. Tra queste inserisce anche Teresa d’Avila nella sua relazione con Dio. Ma davvero il rapporto con Dio può essere considerato alla pari delle altre storie d’amore e, anzi, in certi casi può addirittura dare maggiore serenità e appagamento?
Il rapporto del mistico con Dio è di questa stessa natura ed è un rapporto personale, non intellettuale. È un rapporto vivo e concreto, un rapporto reale come lo è la presenza divina per Agostino, come ce la mostra nelle sue Confessioni, o per Giovanni della Croce (lo spagnolo Juan de La Cruz). Allo stesso modo l’amore che Teresa d’Avila prova per Dio è la potentissima evocazione di questa dualità, di questo dialogo. Il rapporto di Teresa con Dio non è però sereno come quello di Agostino; è turbolento come quello di Giovanni della Croce: non si dà per certo e calmo sin dall’inizio. Somiglia invece moltissimo allo stato di incertezza angosciosa che hanno gli innamorati quando non sono ancora certi di essere corrisposti. Io credo che la vocazione religiosa non si dia in tutti i mistici nella stessa forma: in alcuni è idea contemplativa, in altri beatitudine, in altri ancora è opera e lavoro, in stato di solitudine e di sola speranza di una presenza divina; in altri ancora – come Teresa e Giovanni – è amore, ma è l’amore dell’innamorato, sempre incerto di essere davvero corrisposto.
La maggiore serenità e appagamento che sperimenta il mistico in buona relazione col suo Dio dipende dalla minore transitorietà dell’oggetto amato: gli esseri umani sono incostanti e muoiono; Dio è solido e eterno.
FR: Qualunque atto umano, se non è mediato dall’amore, cioè dall’offerta di un’accoglienza calma e positiva, può risultare traumatico
. Questa frase si riferisce nel suo libro all’accoglienza di un bambino appena nato, ma può espandersi a ogni contatto umano?
NG: L’essere umano – è questo è un altro punto importante della mia teoria – è sempre bambino. I biologi chiamano questa caratteristica biologica col termine Neotenia, che significa “infanzia prolungata”. A differenza di quanto accade agli altri animali, le nostre strutture nervose sono sempre plastiche, come quelle di un bambino; infatti siamo sempre affamati di conoscenze, apprendiamo sempre, siamo sempre di fronte a un mistero, come se realtà non fosse mai definitiva, ma sempre in itinere, sempre nuova e da conoscere nei suoi lati che non ci si erano ancora offerti. In questo senso noi abbiamo sempre bisogno di un Altro in cui avere fiducia, cui fare riferimento perché ci guidi nei tanti momenti di smarrimento e cambiamento dell’esistenza. Gli animali non hanno il mistero, sono sempre in una realtà “solida” perché sono guidati dagli istinti. Noi non abbiamo gli istinti. La nostra solidità è l’Altro. In alcune stagioni della vita questo Altro è la madre, poi il padre, poi l’amico del cuore, più in là nel tempo è la società, un maestro, i valori che scegliamo, una passione, una vocazione. Altrettanto spesso questo Altro è la persona amata, che ci si pone come figura solida e affidabile in cui riporre ogni speranza e cui dedicare la nostra cura e la nostra dedizione.
Abbiamo sempre bisogno di sentire che siamo nell’amore di qualcuno, se no la nostra vita si inaridisce, diventa vuota e perde significato.
FR: Lei sostiene che le teorie psicologiche moderne offrono una visione riduttiva dell’amore. I bisogni affettivi sarebbero solo relegati all’infanzia: la maturazione personale consiste nel diventare autonomi anche affettivamente. Quanto questa visione del mondo influenza il nostro modo di vivere, di rapportarci agli altri, di amare?
NG: L’idea che maturando dovremmo sbarazzarci dei bisogni affettivi (rinominati come bisogni di dipendenza) nasce da una visione del mondo che ha basi scientifiche solo parzialmente vere. È vero, per esempio, che noi desideriamo essere autonomi, perché la libertà non è solo un’idea o un valore: è una necessità biologica. Gli animali prigionieri s’intristiscono e non di rado impazziscono e muoiono, e questo vale anche l’uomo. Non di meno, l’aver insistito solo su questo bisogno ha portato gli psicologi e i sociologi a trascurare il bisogno complementare: quello di essere sempre in relazione dialettica, dialogica, con gli altri esseri umani e con figure ideali fondamentali. L’insistenza sulla maturità come autonomia e sufficienza rispetto ai legami ha avallato una società fortemente individualistica, incentrata sulla competizione e la lotta di uno contro tutti, contribuendo alla distruzione del tessuto della solidarietà sociale, che è una delle tante forme dell’amore. I greci chiamavano agape l’amore solidale per il prossimo ed eros l’amore della coppia innamorata. Non sono due cose diverse, sono due aspetti della stessa realtà. Con agape io amo gli esseri umani nel loro complesso, fino alla dedizione per l’intera specie umana; con eros io concentro questo amore in una sola persona alla quale sono legato in prima istanza dall’esigenza di piacere erotico-amoroso, poi da quello della cura reciproca.
Per spiegare la doppia natura dell’uomo io nella mia teoria parlo di due bisogni fondamentali: il bisogno di appartenenza, che ci rende necessari gli uni agli altri, e il bisogno di individuazione, che ci spinge ad essere sempre più noi stessi, unici e irripetibili.
FR: Amare non sarebbe il ricercare un rapporto paritario a ogni costo, bensì è “godere di una disuguaglianza”, il mettere sopra noi l’oggetto del nostro amore, essere pronti a morire per lui… È per questo che l’amore fa così paura?
NG: Sì, l’amore fa paura per questo motivo: perché stravolge e rivoluziona la gerarchia in cui mettiamo l’io e l’altro. L’amore è disparitario per sua natura. L’uguaglianza in amore è una meta agognata, ma non si raggiunge mai. Nei momenti di amore più intenso, noi proviamo un immenso struggimento per la persona amata e saremmo disposti a morire per lei. Ciò vuol dire che annulleremmo la nostra vita pur di favorire la sua. Il nostro io conta infinitamente di meno; o meglio: conta in quanto è finalizzato al bene della persona amata. Pensiamo a una madre o un padre che si struggono per la salute del figlio; pensiamo all’eroe che muore per salvare le vite di sconosciuti o per salvare la patria da un’aggressione straniera violenta. Pensiamo ancora all’amore di Teresa per il suo Dio. Teresa dice: ho tanto desiderio e struggimento di ricongiungermi a te che mi pare di morire e quasi vorrei che accadesse pur di raggiungere il mio scopo (cito a memoria dal “Libro delle relazioni e delle grazie”). Dunque amare è godere di una disuguaglianza, quella che pone la persona amata al di sopra di noi, del nostro interesse personale. Poi però ci accorgiamo che se facciamo il suo interesse in modo totale, con piena abnegazione, siamo felici, ed essendo felici ci rendiamo conto che abbiamo fatto anche il nostro interesse. Perché la persona amata – finché amiamo – è la base e lo sfondo della nostra vita. Se il mio appartamento è immerso in un bosco che lo circonda, sarebbe sciocco da parte mia non rendere quel bosco un vasto giardino curato, ordinato, rigoglioso. Se non lo faccio, mi entrano in casa insetti, animali, polvere, sporco. In fondo è anche nel mio interesse amare al di là del mio interesse. È un paradosso, ma la natura umana è fatta così.
FR: Lei individua quattro tipologie di coppie in crisi, in cui il dovere ha soverchiato l’amore. Ma si tratta di “gabbie” fisse o due persone nel corso della vita possono cambiare varie volte il loro modo di essere coppia?
NG: Ho semplificato per rendere evidente in quanti modi le coppie possono morire. Ma è altrettanto vero che le coppie possono rinascere in moltissimi modi. Ovviamente dò per presupposto che la coppia sana sia nata sulla base di un autentico innamoramento. Senza l’innamoramento non si va in direzione dell’amore, al massimo si raggiunge un buon affetto. La coppia rinasce riattivando le ragioni iniziali dell’amore, che consistono sempre in un desiderio specifico di “quella” persona (e non un’altra) perché “quella” persona ha le caratteristiche che ci mancavano non tanto per completare noi stessi, quanto per completare un sogno, un’idea della vita, un certo piacere di stare al mondo. Il tempo annebbia queste ragioni iniziali, ma noi dobbiamo sempre ricordarle, soprattutto nei momenti di crisi. E in fondo basta guardare l’amato con gli occhi delle origini e allo stesso tempo con occhi nuovi: gli occhi di una nuova scoperta che sono anche, e allo stesso tempo, gli occhi con cui riscopro un sogno, un’utopia, che è una sorta di eternità luminosa. Io ho come modello il rapporto con mia moglie che dura ormai da 35 anni. Sento di innamorarmi ancora ogni volta che scopro le stesse cose delle nostre origini, ma sotto nuovi aspetti. Un tempo erano la grazia fisica o un certo modo di sorridere; oggi sono la tenacia e il coraggio nel fare il mio bene, o la confidenza silenziosa di chi si conosce da sempre. Si affrontano mille crisi anche gravi. Ma se si ha in mente la purezza dell’origine tutto è più facile.
FR: La coppia passionale – in cui l’amore è libertà – è invece una coppia che non conosce crisi… Cosa significa “coppia passionale”? Perché ci dà l’idea di qualcosa di bello quanto effimero?
NG: La vera passione è un’energia vitale che brucia le scorie per raggiungere la purezza. Il mondo attuale ci ha abituati a pensare la passione in un altro modo, come un impulso momentaneo, un consumismo erotico, una irruzione effimera o anche pericolosa dell’irrazionale e della follia. Nella mia concezione, la passione è un moto intenso, talvolta anche violento, inteso a liberare la nostra personalità, la nostra anima, dei dolori e delle rabbie, delle frustrazioni che la vita accumula dentro di noi; per poi andare verso la bellezza dell’incontro con l’altro e con la nostra natura, celata da tutte quelle scorie. È un moto simile alla fame. Se siamo molto affamati, ci getteremo sulla tavola imbandita come esseri selvaggi. Ma, se questo ci viene consentito con benevolenza, via via che la fame scompare possiamo scegliere se disprezzare o ringraziare l’ospite che ci ha accolti. Possiamo infine giungere a capire che senza di lui saremmo morti e che la sua generosità ci ha salvati. Allora la passione ci ha purificato, restituendoci alla nostra piena umanità. Pensiamo all’incontro fra un uomo e una donna. In principio l’uomo può aver fame di sesso e la donna di sicurezza. Poi però, se l’incontro è quello giusto, ecco che l’uomo accede a un livello più profondo e scopre ora di aver fame del bel carattere della donna e della sua confidenza; e la donna scopre che ha fame della sollecitudine dell’uomo e della sua tenera affettuosità. Per fare queste scoperte, però, ci vuole tempo. Se l’epoca attuale invece ci invita a consumare, ad essere soddisfatti in un attimo e poi insoddisfatti l’attimo dopo, distrugge un delicato processo di penetrazione e conoscenza reciproca che può aver bisogno di mesi e anni per svilupparsi compiutamente.
FR: Qualche consiglio pratico per la coppia di oggi, che sembra più che mai in crisi?
FR: Il titolo del suo libro è Perché amiamo: ma in amore esiste un perché? Se dovesse dare una risposta flash alla domanda del perché amiamo, cosa direbbe?
NG: Perché amare è come respirare, è vita allo stato puro. Non possiamo fare altrimenti.
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Nicola Ghezzani
Psicologo clinico, psicoterapeuta
formatore alla psicoterapia
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