Le strutture psicopatologiche
Le strutture psicopatologiche: come nascono e come si organizzano
Nella concezione della vita mentale elaborata dalla Psicologia Dialettica, la psiche è animata da due bisogni fondamentali: il “bisogno di appartenenza e integrazione sociale” e il “bisogno di opposizione e individuazione”. Il primo bisogno ha la funzione di “aggrappare” la vita di ogni singolo essere umano all’altro essere umano, a partire dal rapporto del neonato con la madre per finire con l’integrazione dell’individuo coi più complessi sistemi sociali e sistemi di valori. Il secondo bisogno ha la funzione opposta di separare e distinguere il singolo individuo dall’aggregato affettivo e sociale di appartenenza, consentendogli l’espressione delle sue qualità genetiche differenziali. In sostanza, il primo bisogno ci integra con gli altri; il secondo ci differenzia.
Non sempre i due bisogni procedono in modo dialettico e concorde. Nel corso dello sviluppo, un bisogno può prendere il sopravvento sull’altro, squilibrando la personalità. Di solito ciò avviene quando il bisogno di opposizione degrada in impulsi rabbiosi di protesta che colonizzano l’inconscio e talvolta lo stesso assetto dell’Io cosciente. La rabbia può restare inconscia e apparire come impulso improvviso, o in un incubo, o in una personalità alternante, oppure invade l’Io e trasformarlo in una soggettività consapevolmente oppositiva, negativistica, conflittuale, persecutoria. A questo punto, la mente – come qualunque sistema biologico – reagisce con una correzione. La correzione avviene mediante una retroazione cibernetica che induce una riparazione e una compensazione da parte del bisogno opposto.
Per esempio, a un impulso rabbioso distonico, sorto dal bisogno di opposizione, seguono la vergogna o il senso di colpa, ossia una riparazione emotiva che origina dal bisogno affettivo di integrazione sociale. La retroazione emotiva tenta di compensare lo squilibrio prodotto dalla rabbia. Il senso di colpa, che è un sentimento di relazione inteso a preservare i rapporto, argina la rabbia, che è un sentimento di opposizione e protesta.
Se il conflitto fra i due bisogni persiste, la riparazione si struttura e si stabilizza. In questa caso parliamo di struttura psicopatologica, nonché di istanze psichiche psicopatologiche: l’”Io antitetico”, che raccoglie la rabbia e la adopera come spinta per uno sviluppo oppositivo della personalità; e il “Super-io”, in cui si concentrano le istanze morali (la vergogna e i sensi di colpa) il quale, cooptando aree neurologiche specifiche, argina e punisce l’azione dell’Io antitetico mediante la produzione di emozioni e sintomi.
Nel conflitto fra le due opposte istanze istanze, l’Io talvolta si allea una ora all’altra, o resto vago, confuso e mimetizzato,
La genesi di una struttura psicopatologica deriva, dunque, dal conflitto fra Super-io e Io antitetico e dal misconoscimento della funzione semantica dei sintomi, i quali segnalano la necessità di una mediazione. Più l’individuo insiste in modo unilaterale con un bisogno, più l’altro ridonda. Più insiste con l’opposizione, più il sistema globale lo incalza, producendo sintomi (dall’ansia, al delirio); e più egli nega la funzione intelligente e pertinente del sintomo, più la mente si scinde e perde il suo principio d’ordine.
Dunque, quando la mente è in preda a processi lineari disorganizzativi, l’unico modo che ha per ripristinare un ordine è compensare il processo in atto con un’azione o un processo opposti e dialettici. Il sintomo è questa azione, è questo processo. Che si tratti di un episodio d’ansia o di un lungo e articolato delirio, il significato funzionale del sintomo è sempre lo stesso: non appena lo si ascolta, lo si comprende e lo si applica alla vita mentale, il sintomo, di qualunque gravità, scompare oppure si riorganizza a un livello inferiore.
La prima emozione che segnala la presenza di una scissione e il rischio di un attacco ai legami è l’ansia, che infatti è il dato elementare presente in tutto l’universo psicopatologico. Conscia o inconscia, l’ansia segnala alla mente l’imminenza di un pericolo catastrofico che si pone nei termini più disparati. Posta questa costante universale, vorrei assumere la struttura ansiosa come struttura primaria elementare, le altre come strutture derivate.
La struttura ansiosa
Quando parliamo di sofferenza psichica, l’ansia è l’emozione che dobbiamo tenere nella maggiore considerazione perché è, allo stesso tempo, il primo segnale di disagio e il fattore primario nella genesi di tutte le strutture psicopatologiche. Prima che evolvano in qualsiasi altra dimensione sintomatica, tutte le psicopatologie presentano un esordio ansioso, talvolta tanto effimero da essere appena notato.
Strutturata in psicopatologia, l’ansia può esprimersi sia come ansia parossistica, una tensione continua che non dà requie, sia come attacco di panico, nel quale l’ansia focalizzata su un tema ossessivo esplode d’improvviso, sia infine come angoscia, come si presenta nella derealizzazione/depersonalizzazione e nella depressione ansiosa, nelle quali la percezione e l’emozione si cristallizzano in uno stato d’animo freddo e desolato, di cui la coscienza soggettiva sembra essere inesplicabilmente prigioniera.
Da dove nasce l’ansia patologica? L’esplosione dell’ansia consegue sempre a un attacco (conscio o inconscio) a un legame fondamentale. La parte reattiva e oppositiva della personalità (l’Io antitetico) avverte rabbia, odio o altri sentimenti distruttivi nei confronti di un legame affettivo o sociale fondamentale e/o dei valori che sono alla base della propria identità morale o sociale, ed ecco che l’ansia viene a segnalare e arginare la minaccia incombente. Il legame viene difeso da una paura talvolta senza oggetto, talaltra focalizzata su timori specifici, che sopraggiunge, invade la mente e la paralizza.
Se l’attacco al legame fosse cosciente verrebbe sanzionato dal senso di colpa; ma in assenza di un chiaro atto cosciente la sanzione appare come ansia senza oggetto. Se l’Io cosciente non integra l’informazione e non media fra gli opposti, l’ansia diventa la retroazione costante di riequilibrio del sistema e può generare una fobia specifica. Le fobie fanno tutte capo a tre paure fondamentali: 1) di impazzire e perdere il controllo, 2) di morire e, infine, 3) di commettere crimini e trasgressioni.
La struttura ossessiva
Nella fase ansiosa, l’ansia di provocare o vivere una catastrofe, e le fobie che vi si collegano, frenano la protesta oppositiva nei confronti di affetti o valori fondamentali e la riconduce entro limiti tollerabili al sistema socioaffettivo. Non di meno, l’ansia può fallire nella sua funzione di arginare il conflitto. A questo punto, senza una forma di rappresentazione e di integrazione nella coscienza, il bisogno di opposizione si esaspera fino ad evolvere in fantasie e impulsi antitetici, conflittuali, nei confronti del sistema morale. La pulsione oppositiva rabbiosa può esprimersi in un impulso o una fantasia, con effetti devastanti. Insomma, più viene repressa, più l’opposizione diventa ribellione e la ribellione trasgressione amorale.
Di repressione in repressione, l’ossessivo si riempie di pulsioni asociali e amorali sempre più fitte e imprevedibili. Cade allora preda del sentimento di ospitare nei recessi della propria anima un’entità abnorme: un “mostro” nel duplice senso della parola: un essere minaccioso e distruttivo che si mostra d’un tratto alla coscienza con il suo scenario di atti efferati e può fare irruzione nel mondo reale; o un essere informe dunque misero e patetico, da mostrare e offrire all’esecrazione e alla derisione pubbliche.
Constatata la presenza di impulsi mostruosi al proprio interno e posto di fronte a un destino incompatibile col proprio assetto morale, l’ossessivo si intimorisce e corregge la rotta. La retroazione correttiva ha il fine di paralizzare della volontà e si esprime in rituali scongiuratori. La rivelazione della propria abnormità morale – un’identità negativa che sembra coincidere col vero Io – sprofonda l’ossessivo nell’angoscia di essere condannato a una colpa innominabile. Solo l’esecuzione inflessibile da riti complessi e tormentosi riescono bloccare la mente o l’esecuzione dell’atto abominevole, quindi a dare un qualche sollievo.
Ma più l’ossessivo avverte dentro di sé la presenza di questo mostro, più è preda di dubbi infiniti sulle azioni da compiere e sui più fuggevoli pensieri da ammettere alla coscienza. Sicché egli finisce per impegnare gran parte delle sue energie per controllarsi attraverso un minuzioso bilanciamento di azioni e retroazioni. Il delirio di colpa può riguardare non solo qualcosa che si potrebbe fare, ma anche qualcosa che è stato già commesso, ma di cui si è perduta la memoria. Preda della follia del controllo, l’ossessivo può crollare in una depressione ansiosa oppure, se nell’intrico labirintico della sua storia risale alle sue prime colpe reali e se ne assume la responsabilità, può cominciare ad avviare un processo di guarigione.
La struttura mimetica (isterica)
Nella struttura ossessiva, abbiamo visto, l’impulso oppositivo è percepito come negativo e perciò represso e drammatizzato fino a configurare la fantasia del mostro.
Lo stesso impulso oppositivo può essere vissuto sin da subito come positivo, come giusto in relazione a presunti tori subiti; ma non tanto positivo da esporlo: in questo caso si approntano difese mimetiche per nasconderlo. L’individuo isterico nasconde anche a se stesso la presenza dell’opposizione e, scindendosi, si crea una maschera di perfetta normalità, di innocenza, di bontà, di amore, di perfezione morale. Egli è una persona che si presume buona e vittima della cattiveria altrui o persa in una innocenza priva di cognizione del male. Questa convinzione è talmente radicata da pervadere per intero la coscienza personale. Non di meno le azioni in cui l’isterico è coinvolto rivelano la presenza di desideri rabbiosi e persino sadici, perlopiù inconsci, di infliggere il male alla sua vittima. Infatti, più nasconde le sue ragioni oppositive, più queste degradano in una rabbia segreta conflittuale, in un odio più o meno stabile e organizzato, in fantasie e atti di vendetta non di rado venati da crudeltà e da sadismo.
Questo mondo violento e sadico va incontro a rimozioni istantanee; sicché l’isterico appare ora l’incarnazione della bontà angelica e della virtù, ora un’anima dannata che si libera dalle catene e colpisce con violenza o con diabolica astuzia.
La retroazione negativa agisce allora attraverso uno stupore e un misconoscimento che inducono una istantanea scissione dell’Io e di colpo, come per magia, l’isterico torna ad essere il santo e l’angelo di sempre.
Da qui l’incredulo stupore con cui l’isterico si vede riflesso nell’opinione altrui: in queste circostanze egli si vede come in uno specchio deformante: non si capacita di poter apparire cattivo come gli altri lo descrivono e addebita questa interpretazione a un equivoco o a una bassa calunnia, di cui chiede ragione. Se invece unisce le parti scisse (lo specchio in- franto) e ammette la sua identità nascosta, può andare incontro a fasi depressive e, pian piano, al miracolo della guarigione.
La struttura dissociativa
Dalle pulsioni rabbiose il soggetto può difendersi in tanti modi. Attraverso la generalizzazione, la repressione e il controllo, come nella struttura ossessiva, nella quale l’individuo si sente un mostro perché ospita solo intensi ma limitati impulsi rabbiosi e si condanna per via di questi a un controllo perpetuo; attraverso la scissione binaria della personalità, come nella struttura isterica, nella quale l’individuo è ora un santo, un angelo, un principe dello spirito, ora invece un demonio che ferisce con crudeltà le sue vittime per ritararsi un attimo dopo nella sua identità mimetica di pura e perfetta innocenza; oppure con la dissociazione fra emozioni e coscienza e poi, a seguire, fra parti distinte della personalità, come accade appunto nella struttura dissociativa.
Il dissociato è un individuo che, da un momento all’altro precipita nella confusione riguardo alla sua vera identità e alla realtà del mondo in cui vive: tutto gli appare apatico e strano, il mondo è un teatro di falsità, la vita è una farsa senza alcun significato, la sua stessa identità è confusa, vaga, non perfettamente messa a fuoco.
La dissociazione comporta infatti la perdita del senso delle cose, essendo ogni cosa percepita dotate di senso solo in virtù della risposta emozionale, che nel dissociato manca. Alla lunga, il suo effetto è di far perdere l’orientamento e il gusto della vita, aprendo la via all’angoscia e alla depressione.
La struttura depressiva
Più i vissuti rabbiosi e vendicativi ristagnano nella personalità, più essi – come rifiuti tossici – vanno incontro a processi di compattamento e riorganizzazione. La nuova forma cui essi sono costretti è una reinterpretazione globale della loro origine e del loro significato. Il depresso comincia a pensare che se ospita dentro di sé tanta violenza è perché la sua anima è sempre stata, sin dall’inizio, marcia e colpevole; oppure perché marcio e colpevole da sempre è il mondo nel quale è nato. Quindi, in fase depressiva, l’interpretazione della soggettività personale e della natura del mondo si ribalta e mostra l’ontologica, assoluta e definitiva maledizione dell’Io o del mondo.
Ed ecco che, come in una visione teologica, il depresso considera le sue colpe come inaccessibili al pentimento e alla ragione e inemendabili; oppure, alternativamente, considera il mondo come corrotto da sempre, dalla sua origine, abitato da iniquità e ingiustizia, dalla crudeltà della natura o dalla malvagità diabolica, quindi inadatto ad anime innocenti e pure come la sua. Tutto è ormai oscuro, orribile, perduto; la serenità, la felicità, la grazia divina… tutto è remota illusione. Non c’è più niente da fare: l’Io può solo esistere immerso fino alla fine dei suoi giorni in questa coltre fangosa di disperazione.
La retroazione negativa, saldamente in mano al Super-io, ha ormai colonizzato la coscienza. L’oblio, lo svuotamento, l’amnesia sono ormai l’unico scampo, l’unico lenimento di cui il depresso può ancora disporre. Allora, quando dimentica, la coscienza vaga nel vuoto, le lacrime scorrono sul volto senza un’apparente ragione o il volto appare pietrificato e assente.
La struttura maniacale
La permanenza nel mondo dei morti, che contraddistingue lo stato depressivo, può non durare per l’eternità e la depressione può evolvere, mutare di colpo, trasformandosi in qualcosa di opposto. Tanto il depresso è stato inerte, freddo, rassegnato al suo dolore, tanto il maniacale è estasiato e esaltato dall’imminenza della felicità, dalla grandezza dei suoi atti, dalla certezza dell’amore. In preda alla sua mania, il maniacale può ignorare ogni dato di realtà, manifestarsi come un solutore di problemi altrui, un genio, un amante appassionato e sfidare il mondo nelle sue regole costitutive.
Ma la sua è una certezza fragile perché costruita sulla palude depressiva. Il maniacale è come un pattinatore che corre, scivola, piroetta su una lastra sottile di ghiaccio al di sotto della quale si spalanca il vuoto della depressione, pronto a riaccoglierlo. Un errore di valutazione in un progetto, un amore deluso, uno scontro col mondo sociale ed ecco che egli può scivolare di nuovo al di sotto della linea di galleggiamento ed essere ripreso dall’onda nera della depressione. È su questo gelido e minaccioso crinale, allorché il maniacale osserva l’abisso che lo attende, che egli può decidere per la vendetta distruttiva o per il suicidio.
Nel caso del maniacale, la retroazione correttiva agisce immergendolo in una liquida benevolenza verso l’umanità, che gli consente di non essere violento; oppure, qualora si renda conto di aver superato il limite, immergendolo nel gelo della depressione.
La struttura narcisistica
A lato dell’esito maniacale, sulla stessa linea di gravità psicopatologica, si può sviluppare la struttura di personalità narcisistica. Ma mentre il manicale è sempre immerso nelle sue buone intenzioni, cui di solito coincidono cattivi esiti, il narcisista si muove su una linea difensiva e offensiva più marcata. Il narcisismo è una struttura caratteriale solida, determinata, organizzata nella quale l’egoismo si realizza nel modo più perfetto.
A un primo livello di gravità del suo disturbo, il narcisista è un anaffettivo, chiuso in se stesso per quanto possa apparire partecipe e socializzato. Poiché può, in questo caso, essere innocuo, l’autoregolazione si esprime in lui solo come bisogno impulsivo di contatto o nostalgia della relazione umana e affettiva perduta, sicché egli compie rapide incursioni nel legame da cui prima o poi fugge, scivolando via come un fantasma.
Di questo metodo di approvvigionamento e fuga può fare un sistema, fino al goderne in modo sadico, raggiungendo così un secondo livello di gravità psicopatologica. Divenuto di fatto pericoloso per via della sua tendenza seriale a deludere, frustrare, manipolare e sfruttare l’altro per trarne il massimo beneficio, l’autoregolazione si pone, a questo secondo livello, più come angoscia di crollare nella vergogna morale e sociale che non nel senso di colpa consapevole. Se minacciata dall’angoscia, sceglie di rafforzarsi, la personalità narcisista perfeziona le sue strategie di insensibilità, manipolazione e sfruttamento, fino a salire di un ulteriore livello, virando verso la psicopatia – ovvero il disturbo antisociale – e verso la perversione.
La struttura perversa
La perversione è una delle strutture psicopatologiche meno curabili, perché pregna di un autocompiacimento che la rende poco o punto accessibile al dialogo e all’esempio.
Il pervertito affettivo e morale individua nell’altro il punto di maggior vulnerabilità e lo colpisce. Lo fa per distinguersi da lui, stabilendo così una gerarchia arbitraria fra forti e deboli, invulnerabili e vulnerabili, fra padroni e servi, percepiti come entità naturali. In lui il bisogno originario di opposizione e individuazione è stabilmente deviato nel godimento della violenza e della crudeltà.
Nella categoria di perversione morale può a mio avviso essere inclusa la psicopatia. Quando l’angoscia tipica del pervertito di essere posto in una condizione di dipendenza diviene intollerabile, si organizza un carattere psicopatico, nel quale il comportamento malvagio e antisociale, se pure appare orientato al conseguimento di un vantaggio materiale (come accade sempre per il criminale), è in realtà funzionale a un godimento fine a se stesso. Lo psicopatico mira al mantenimento di una struttura di personalità difensivo-aggressiva, sempre attiva anche a livello neurofisiologico, il cui fine è difendere il soggetto dal rischio di un crollo nel caos borderline o psicotico.
A differenza del pervertito morale, di cui ho parlato sinora, il pervertito mentale è un individuo più esplicito e scoperto, la cui stranezza e bizzarria nello stile di pensiero e nei comportamenti suscitano negli altri disgusto palese, raccapriccio, orrore, senza che lui dia a ciò il minimo significato. Per paradossale che possa apparire, l’autoregolazione ha agito su di lui con l’ipnosi, ossia accreditando il suo atto perverso con un plus di godimento, che lo inibisce e lo paralizza. Se non vi fosse godimento, se non vi fosse trance ipnotica, la violenza potrebbe irrompere a livelli ancora più gravi.
L’unico modo per sollecitare una rinascita della salute morale e mentale perduta è attendere il crollo della struttura perversa in virtù del sentimento di orrore, o quantomeno di angoscia, che il soggetto può provare nell’attimo in cui si sottrae all’ipnosi del godimento estatico. In questi momenti, se non si suicida o precipita nella psicosi, e se non reitera con più furia gli atti perversi con la voracità del condannato a morte di fronte al suo ultimo pasto, il pervertito può regredire al livello dell’ansia parossistica o della depressione ed essere disponibile ad essere arrestato o a ricevere aiuto.
La struttura borderline
Passando per l’isteria, per la depressione o il narcisismo grave, diventa borderline chi, per difendersi dall’angoscia di colpa, scinde la propria intima violenza da una qualunque forma di consapevolezza riflessiva. Il borderline è un soggetto disgregato che da un lato vive nella confusione e nella dipendenza, dall’altro prende a spunto ogni minima occasione per imporre il proprio Io al di sopra di tutto e tutti, allo scopo di scongiurare la tragica consapevolezza della propria impotenza pragmatica e morale.
Il borderline è un individuo il cui desiderio residuale è oltrepassare sempre e comunque, con rabbia e inflessibile tenacia, la linea di confine fra l’adattamento e il disadattamento. Mancando di coscienza di colpa, la retroazione negativa, superegoica, si manifesta in lui come passaggio repentino dalla violenza più devastante alla rimozione degli atti appena compiuti, una rimozione accompagnata da un sentimento di assoluta innocenza.
Il richiamo all’innocenza serve a poco perché, in assenza di senso di colpa e quindi di esperienza morale, la violenza lo sormonta di continuo, ad ogni minimo sospetto di umiliazione. A questo punto, il sistema psichico globale (il Super-io) interferisce nei confronti dell’Io con sintomi psicosomatici anche gravi o – estremo rimedio – con comportamenti autolesionistici sempre più pericolosi, che mettono a rischio la salute o la vita o che comportano l’arresto o il ricovero psichiatrico.
L’autodistruzione involontaria è l’obiettivo più frequente della personalità borderline.
La struttura delirante
Allucinazioni e deliri, in apparenza inafferrabili al senso comune e pertanto considerati come il segno distintivo della patologia grave, rappresentano forse i sintomi più indiziari della funzione regolativa dell’inconscio. Basta pensare ai segni minimi di disagio, presenti in tutto lo spettro psicopatologico, che possono essere considerati deliranti: per esempio, il momento di ansia sociale in cui il soggetto ha la sensazione che tutti lo osservino pensando un giudizio negativo; oppure il panico agorafobico nel quale si pensa che il mondo stia per crollare; la certezza delirante dell’ipocondrico di essere ingannato dai medici e di star morendo; la fulminante angoscia ossessiva di riconoscersi come un mostro; l’angoscia da depersonalizzazione in cui ci si guarda allo specchio e non ci si riconosce; la convinzione cieca, assoluta, del depresso che la sua natura più intima o la sostanza più profonda del mondo siano immersi nella colpa e nel peccato, senza possibile rimedio; ecc.
Quanto l’Io prova emozioni o pensieri lesivi dell’ordine affettivo o sociale interiorizzato, l’autoregolazione (messa in opera dal Super- io) lo fa sentire escluso dall’appartenenza e punito. Di fatto, il Super- io avvisa l’Io che si è escluso dalla buona opinione altrui, dalla sicurezza in un mondo stabile, da una normale e riconoscibile identità sociale e che la catastrofe è il prezzo che egli sta per pagare.
L’Altro non cessa mai di significare, cioè di confermare all’Io la sua posizione nel mondo: finché l’Io è ben integrato, non si accorge nemmeno che l’Altro gli invia continui segnali di familiarità: gli altri sono perlopiù benevolenti o neutri, il mondo è perlopiù accogliente, l’immagine allo specchio coincide con quella consueta, condivisa con gli altri. Solo quando l’Io è de-integrato dal sistema, solo se n’è separato per il suo opposizionismo, solo allora i segnali cambiano di tono: l’Io è avvertito della sua non appartenenza, della sua estraniazione. Il nucleo primario della struttura delirante è appunto l’estrania- zione. Il delirante non appartiene più al mondo.
I segnali di familiarità che pervadono la percezione individuale e che di solito restano al di qua del confine della visibilità mutano di segno e si trasformano in segnali di estraneità, perturbanti, come annota Freud nel suo mirabile articolo Il perturbante, del 1919. Nella condizione di normalità psichica, il rapporto fra Io e Super-io è sintonico e la conferma di reciproca familiarità è automatica. Ma cosa accade quando fra loro non c’è sintonia? Accade che più sono forti i segni soggettivi di ripudio della realtà normativa, più sono forti i segni di disconferma: la distonia fra Io e Super-io, fra volontà soggettiva e disconferma oggettiva, li rende percepibili.
Più il delirante ha marcato il suo rifiuto della realtà ordinaria, ha cioè attaccato i legami fondamentali e trascurato la funzione riorganizzativa che i sintomi di allarme evocavano, più vede accentuarsi il messaggio di pericolo che gli proviene dall’inconscio. Ma a questo punto, in modo del tutto speculare, a tanta estraneità risponde il secondo passaggio del delirio: la retroazione negativa, ossia l’evento catastrofico delirante. Appaiono allora i segni del controllo da parte delle forze dell’ordine o del disordine, da parte di maestri invisibili o di potenze aliene e sovrannaturali; oppure una propria rivelata grandezza che sedurrà il mondo, rivelando a tutti uno stato di perfetta e idilliaca innocenza.
La verità assoluta del delirio sostituisce del tutto l’eterna approssimazione alla verità che caratterizza l’Io sano. L’Io delirante, anche quando si ritiene libero, non ha altro spazio di esistenza che quella verità assoluta che lo esclude, ogni giorno di più, dal mondo reale.
Bibliografia
Per una spiegazione più ampia e dettagliata della teoria psicologica e psicopatologica su cui si basa la sintesi qui presentata, leggi di Nicola Ghezzani La specie malata, FrancoAngeli, Milano, 2020.