Senso di colpa, vergogna, dolore morale
Due sentimenti in disuso
Tenuto in massima considerazione da secoli di filosofia morale e portato agli allori della scienza grazie alla psicoanalisi, negli ultimi decenni è stato prima defraudato della sua importanza, poi del tutto messo al bando dalla cultura psicologica popolare. Stiamo parlando del “senso di colpa”.
Per secoli si è pensato che il senso di colpa segnalasse il difetto dell’individuo nei confronti della morale e della società, rappresentata anche da una sola persona verso la quale si era commesso un atto ingiusto. Spesso il sentimento di colpa prendeva a modello l’angoscia del peccato nei confronti di Dio, che poteva pervadere ogni atto umano. La colpa verso qualcuno o verso la morale si macchiava della stessa tinta della colpa verso Dio. Odiare un genitore o tradire il coniuge era come offendere Dio stesso. Poi un bel giorno gli si è dichiarato guerra: da alcuni decenni, mass-media e cultura psicologica hanno deciso che il senso di colpa impedisce lo sviluppo di una personalità autonoma e pertanto va messo al bando. Una personalità sana – si dice – è libera dal senso di colpa.
L’altro sentimento misconosciuto, la vergogna, non ha nemmeno avuto bisogno di una dichiarazione di guerra per scomparire. Poiché segnalava il difetto dell’individuo nei confronti della coscienza pubblica e induceva, per contraccolpo, una calibrata e rigorosa autolimitazione, si è estinto da solo, col sopraggiungere di una società esibizionista, sfacciata, arrogante, individualista. Al contrario che in passato, prova vergogna chi non si impone agli altri, chi non si approfitta delle situazioni, chi potendo trarre un beneficio non tradisce la fiducia dell’amato, chi non trasgredisce. La vergogna è diventata il propulsore dell’individualismo e dell’ideologia della forza e colpisce proprio la mitezza, il riserbo, la tenerezza, cioè i sentimenti e i comportamenti più etici e sociali. Ci si vergogna di essere “deboli”; ma se si tradisce, si intimidisce, si offende, si calunnia, si sfrutta a proprio vantaggio, o per il semplice gusto di sentirsi forti, se ne è orgogliosi.
Ormai a proposito dei sentimenti di colpa e vergogna si argomenta che derivano da inibizioni e condizionamenti causati dalla pressione di mentalità ormai “superate”. Si applica loro una concezione “ambientalista”, secondo la quale le emozioni complesse derivano solo dalla volontà sociale, organizzata in codici culturali. L’ambiente, si dice, è colpevole di imporci dei limiti. Nella società neoliberale della prepotenza, l’ideologia della forza impone una sensibilità anestetizzata, svuotata delle sue caratteristiche più specifiche. La colpa e la vergogna intesi ad autolimitare non servono a niente; servono solo se favoriscono l’egoismo predatorio.
Emozioni naturali
Tuttavia, sociobiologia e neurobiologia hanno ormai chiarito che vergogna e senso di colpa non sono stati emotivi acquisiti: essi hanno una funzione evoluzionista fondamentale; sono emozioni naturali.
Nelle fasi di crescita, il senso di colpa consente al bambino di transitare dal normale egoismo neonatale (allorché egli “usa” le persone in funzione dei propri bisogni), al normale sviluppo del rimorso, della pena e della compassione (quando si accorge che può danneggiare l’altro e che le creature senzienti sono da tutelare). Allo stesso modo, la vergogna aiuta il bambino a confrontarsi con le autorità morali e i loro valori, sui quali egli dovrà esercitare la sua empatia e applicare la sua capacità di apprendimento. Si tratta di sentimenti naturali, arricchiti dalla riflessione culturale, la cui funzione è di mediare l’integrazione dell’individuo nella vita del gruppo.
I neuroni specchio – che consentono l’identificazione con l’altro – maturano e si organizzano al fine di generare i sentimenti sociali più raffinati, e l’empatia – che è l’elaborazione interna dell’identificazione – si pone come qualità emergente dello sviluppo. Grazie all’empatia, i centri del dolore e del piacere si specializzano, divenendo agenzie di gratificazione e di sanzione. Da egocentrico che era, sebbene in sintonia speculare con l’altro, il bambino diventa allora un essere sociale e quindi umano a tutti gli effetti.
Questo processo di maturazione accompagna l’esistenza dell’uomo dalla nascita alla morte, perché l’essere umano – grazie al fenomeno biologico della neotenia – è l’unico animale che resta “cucciolo”, cioè bambino, per tutta la vita. In virtù della sua singolare condizione biologica di immaturità permanete, l’individuo umano non smette mai di adattarsi, di imparare, di effettuare sempre nuove considerazioni morali.
Il transito alla socializzazione è tuttavia arduo, perché implica che i valori e le regole sociali vengono interiorizzate attraverso l’inconscio, prima di essere valutati dalla coscienza (se mai lo saranno). Ed è proprio a questo punto che possono prodursi le paure, le ansie, le inibizioni caratteriali, nonché i disturbi più o meno gravi, segnalati dalla psicopatologia.
Disagio e dolore morale
L’analisi sociologica dimostra che la vergogna e la colpa vengono costantemente modellate dai valori in vigore in una determinata società, e che questo modellamento può non essere in sintonia con i sentimenti intimi di tutti. Non tutti condividono i valori comuni, per quanto questi possano essere veicolati da intense emozioni.
Nell’odierna società del narcisismo, si viene spinti a violare la debolezza altrui, a sfruttare i propri familiari, a godere delle separazioni trasformandole in guerre totali, a provare vergogna se non si consuma in modo indiscriminato danneggiando gli altri. Alla normalità così modellata, può opporsi un intimo dolore morale, che tuttavia non ha un adeguato accoglimento nelle rappresentazioni collettive e nella struttura sociale. Non esiste neanche la parola per nominarlo. Infatti, per dare voce a questo sentimento misconosciuto sia dalla cultura corrente che dalla psicologia, dobbiamo usare una perifrasi e chiamarlo “dolore morale”.
Allorché si interiorizzano situazioni e comportamenti contrari alla propria sensibilità, che suscitano un profondo disagio e contro i quali ci si vorrebbe ribellare, il dolore viene sostituito dalla rabbia. Le regole sono obbligate dalla famiglia o dalla scuola o comunque da prassi sociali diffuse; sicché i valori dominanti devono essere interiorizzati. Si deve competere e non provare esitazioni; si deve dare la prestazione migliore; credere, obbedire e combattere; non farsi sottomettere da nessuno e dominare il compagno di banco, tradire l’amico, ingannare e sfruttare il partner sessuale. Ogni emozione di rifiuto viene colpita dalla vergogna. L’effetto costante è una sorda rabbia inconscia, sempre accompagnata da un’intima disperazione.
La persona sensibile
A questo livello, il disadattamento riguarda innanzitutto i bambini e gli adulti dotati di spiccata sensibilità empatica e morale. Questi soggetti iperdotati sentono con disagio ciò che il “senso comune” non rileva: il maltrattamento a carico di bambini, vecchi, animali e soggetti deboli in genere, compresa la natura, che tutte le società attuali consentono di violare in una misura invisibile ai più, sollevano in questi individui angoscia morale e conflitti interiori. Se questi stati d’animo sono precoci rispetto alla sua capacità di elaborazione, l’individuo sensibile può entrare in contraddizione con se stesso e col mondo circostante, non capire il proprio disagio e sviluppare una psicopatologia.
Altrettante volte il modellamento dei valori riguardare semplici transizioni storiche. La società non intendeva compiere alcuna violenza, ma di fatto crea confusione morale e conflitto. Un esempio: la sessualità. Un tempo la pratica sessuale accompagnata da piacere veniva stigmatizzata come una colpa, e ciò produceva personalità inibite sul piano della spontaneità. Oggi il fenomeno è opposto: è considerato disdicevole l’anteporre il sentimento alla sessualità, sicché giovani e non giovani provano una acuta vergogna e paradossali sensi di colpa all’idea di non aver “ancora” avuto il loro primo rapporto sessuale. È evidente in entrambi i casi l’influenza del valore sociale dominante: nel primo caso si prova colpa ad avere rapporti sessuali, nel secondo a non averli.
Un altro esempio: l’emancipazione. Fino ad alcuni decenni fa era normale che un figlio intorno ai venti, venticinque anni, si rendesse autonomo dalla famiglia e ne costituisse una propria. L’emancipazione avveniva sul vettore del lavoro (il giovane cominciava a lavorare) e su quella degli affetti (il giovane costituiva una coppia). Oggi, giovani e non più giovani sono contesi fra i valori dell’individualismo consumista, per i quali emancipazione significa promiscuità sessuale e iper-mobilità lavorativa, e i valori difensivi residuali della famiglia, per i quali un figlio emancipato è un figlio ceduto alla violenza sociale circostante, quindi viene trattenuto in casa. Nel primo caso è una vergogna e una colpa fare una vita stabile; nel secondo caso è una colpa abbandonare la famiglia.
In un contesto in cui si confrontano opposti sistemi di valori, chiunque può stare male. Oggi, una percentuale fra il 30 e il 40% della popolazione è affetta da qualche disturbo psicologico e assume psicofarmaci.
È compito di alcuni, ossia degli individui sensibili e iperdotati, introdurre variazioni culturali nei sistemi di valori a fini correttivi. Il disagio di pochi, spesso disprezzato e vilipeso o comunque frainteso dalla cultura ufficiale, assolve alla funzione di trasformare le civiltà e renderle migliori. Purtroppo questo compito non viene né compreso né favorito. Il più delle volte il senso comune disprezza le esperienze di disagio e le psichiatria le blocca col suo furore diagnostico e con l’abuso farmacologico fino a peggiorarle. In un contesto siffatto gli individui sensibili non possono svolgere la funzione per la quale sono nati: produrre nuovi valori e correggere le disfunzioni sociali; e la società nel suo complesso s’incammina verso una qualche grave forma di disgregazione.
Il nostro compito di specialisti dell’animo umano deve consistere allora nel contestare i luoghi comuni, nel ripristinare la funzione delle emozioni naturali e infine proteggere e valorizzare la parte migliore dell’umanità.
Nicola Ghezzani
Psicologo clinico, psicoterapeuta
formatore alla psicoterapia
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